Alla sera, quando mio papà tornava dal lavoro, andavamo insieme in una piccola stradina vicino a casa. Lui mi aiutava a salire sulla bici, che era troppo grossa, con la sbarra “da donna”. Eravamo poveri, bisognava accettare quello che c’era. Avevo sette anni, e la felicità più immensa immaginabile era poter andare in bici.



Salivo, mani sul manubrio, sguardo teso verso il fondo della stradina, in piedi sui pedali. Con una mano sul manubrio e una sulla sella, mio papà teneva tutto fermo. “Pronti?”, “Andiamo!” rispondevo. E si partiva, papà di corsa, io a pedalare. All’inizio mi sorreggevano due mani di papà, poi solo una, poi libero – e schianto! Andavo avanti pochi metri prima di inclinare irrimediabilmente di lato. Tutto un graffio, le ginocchia sbucciate, tornavamo a casa. Ma la sera dopo, andavamo di nuovo a provare.

Ogni sera andavo più lontano prima di perdere il controllo. Alla fine di una settimana, le mie mani hanno cominciato a reagire nel modo giusto, e col peso controbilanciavo la tendenza a cadere. “Papà! Ce l’ho fatta, ce l’ho fatta!” Sentivo che la bici mi obbediva. In fondo alla stradina, ultima sbucciatura delle ginocchia: frenare era ancora da imparare…

Oggi quando ripenso a quelle sere, vedo la scena da un altro punto di vista. Non più in sella, il vento nei capelli e la libertà nel cuore, ma dall’inizio della stradina, dove era finita la corsa di papà. Mi vedo con i suoi occhi, e immagino il momento in cui staccava la mano dalla sella, mentre me ne vado da lui, ogni sera un po’ più lontano. Mi guardo mentre papà mi lascia andare, mi lascia volare. E mi commuovo al pensiero del suo dolore a vedermi schiantare ogni sera. Fa male a chi ama, veder soffrire l’amato. Ma a volte è necessario.

Per me, quel gesto di sostenere e lasciare andare è l’immagine più chiara che ho della paternità. E’ ciò che mi ha fatto diventare uomo. Senza la mano che mi sosteneva, non sarei potuto partire. Ma avevo anche bisogno che ad un certo punto, mi lasciasse.

Ho imparato a vivere perché lui mi ha protetto dai pericoli troppo grandi, ma non dagli altri rischi che dovevo affrontare da solo. Il suo compito era di guardarmi lottare, accogliermi con le mie ferite e fallimenti, darmi il coraggio di riprovare ancora. E infine, gioire della libertà che raggiungevo.

Oggi il padre è il grande assente. Per questo, la Fraternità san Carlo ha pensato che fosse utile ricercarne le tracce nella grande letteratura: l’Iliade, l’Odissea, la Divina Commedia, il Signore degli Anelli. Il frutto di questo lavoro è ora disponibile in una mostra didattica gratuita pensata per le scuole. 

Informazioni: mostra.padre@gmail.com, 334.7269521, www.sancarlo.org.