“Ha sparato a tutto ciò che si trovava davanti”: i testimoni della strage alla Scuola Ebraica di Tolosa hanno ancora davanti agli occhi la scena della sparatoria che ha ucciso quattro persone di cui tre bambini nel quartiere de Le Roseraie. Il killer, arrivato in scooter con il volto avvolto da un casco integrale nero, è fuggito senza lasciare traccia. La mattanza è avvenuta davanti all’istituto non molto lontano dalla fermata del pullmino della scuola, alle otto, quando tutti gli alunni erano radunati davanti all’istituto. Il sospetto è che l’autore possa essere lo stesso dei due agguati avvenuti ai danni di alcuni militari, sempre a Tolosa, che hanno provocato alcuni giorni fa la morte di tre persone. L’arma e lo scooter sembrerebbero, infatti, i medesimi. Anche l’identikit non lascerebbe dubbi: un uomo tatuato e muscoloso vestito di nero. La pista, dunque, sarebbe quella di un gruppo neonazista.
Abbiamo sentito, per ilsussidiario.net, il professor Salvatore Abruzzese Docente di Sociologia della religione all’Università di Trento che attribuisce, invece, l’accaduto a un gesto isolato, sul modello di ciò che è avvenuto in Norvegia.
Professore, cosa pensa di ciò che avvenuto stamane a Tolosa?
A questo stadio delle indagini è difficile dare elementi certi. Ciò che posso dire è che ci sono elementi di devianza erratica che esplodono ovunque: c’è una sorta di terrorismo diffuso a livelli di microgruppi e di soggetti singoli. Se quello che si adombra dovesse essere confermato ci troviamo dinanzi all’ennesimo caso di comportamento paranoico ai limiti della patologia che si veste di componenti ideologiche per potersi legittimare. Quello che è accaduto non ha nessuna logica anche nella più aberrante delle devianze politiche. Siamo di fronte alla patologia dell’umano che si appropria di simboli e luoghi per scaricare le proprie paranoie.
Si tratta quindi di singoli casi?
Secondo me, siamo dinanzi a squilibrati che focalizzano la propria paranoia su bersagli innocenti, seppur carichi di una dimensione mitica che non hanno mai chiesto, ma di cui finiscono per esserne rivestiti.
Un motivo in più per alzare la guardia?
Certamente, perché il nostro problema non sono solo le cellule terroristiche ma forme di patologia individuale che possono colpire ovunque in maniera inattesa, ma non per questo meno letale.
E’ indicativo che questo sia accaduto in Francia, dove si sta svolgendo una campagna elettorale piuttosto combattuta?
La dimensione istituzionale francese è incanalata in binari assolutamente civili. Siamo nel 2012, non c’è più nessuna ideologia così estrema e nessuno scontro frontale così aspro fra i candidati principali, Sarkozy e Hollande, non c’è un clima tanto frontista da alimentare questi gesti. Penso invece, che abbiamo a che fare con un terrorismo “fai da te” che si costruisce e si alimenta in internet.
Su modello della strage sull’isola di Utoya, in Norvegia?
Certo. Allora era colpa di un paranoico demenziale che si è auto-investito di carisma auto generato, ha preso un fucile e ha cominciato a sparare.
La rete, quindi, è uno strumento che alimenta questo tipo di azioni, latenti in soggetti disturbati?
Sicuramente: avremmo mai potuto pensare che quattro studenti avrebbero potuto uccidere tremila e cinquecento persone nell’attentato alle Torri Gemelle? Non era pensabile con le tecnologie del passato. Siamo davanti ad un’accessibilità infinita al male, alle armi, ai riti omicidi. Internet è uno strumento che ci consente di accedere a qualsiasi tipo di informazione se poi si tratti di un enciclopedia o di come confezionare una bomba in casa, quello sta al singolo soggetto.