Il quattordicesimo viaggio di Benedetto XVI, che è iniziato ieri e che tocca Messico e Cuba è stato contrassegnato inizialmente da due immagini. Quella che lo ha mostrato, al momento della partenza, per la prima volta in pubblico camminare appoggiandosi a un bastone (lo usa in privato da un paio di mesi) e quella incredibilmente festosa al suo arrivo in Messico e che lo ritrae incredibilmente ringiovanito. Lo sottolinea Stefano Maria Paci, vaticanista di Sky, contattato da IlSussidiario.net in Messico dove si trova per seguire il viaggio apostolico: “Siamo rimasti tutti colpiti, e anche il suo stesso seguito è rimasto sconcertato dal comportamento del Papa una volta arrivato in Messico”. Stefano Maria Paci ci confida che da tempo Benedetto XVI ha ridotto di molto i lunghi viaggi intercontinentali perché lo affaticano troppo e quando ne fa uno come quello di ieri, lungo quattordici ore, si reca appena possibile a riposarsi. “Ieri invece il Papa” dice ancora Paci “è rimasto tantissimo tempo in aeroporto, salutando uno a uno i moltissimi bambini e i molti handicappati che si trovavano lì. L’impressione è stata proprio che Benedetto sia rimasto davvero colpito dall’accoglienza ricevuta”. Una accoglienza che parlando di cifre si traduce in oltre centomila persone accorse lungo le strade che il Papa ha attraversato. Secondo Stefano Maria Paci il Messico è infatti un Paese che nonostante una storia travagliata fatta anche di persecuzioni sanguinose nei confronti dei cristiani ha conservato una fede popolare fortissima: “Il Papa viene accolto come messaggero di pace e speranza, è questo lo slogan che la gente porta nel cuore”. Va ricordato che le città che il Papa visita, Guanajuato e Leon, non furono mai toccate dal suo predecessore nelle sue visite in Messico. Come dice Paci, “L’accoglienza di ieri non era solo quella che si fa a un Papa che viene a casa tua, ma sembrava qualcosa di molto di più”.



Stefano Maria Paci, che impressione si è fatto dell’accoglienza ricevuta ieri dal Papa? Era scontata? 

Le dico una cosa che mi confidò tempo fa il segretario personale di Papa Giovanni Paolo II. Mi disse che il suo primo viaggio in Messico aveva cambiato il suo pontificato. Giovanni Paolo fu talmente colpito dall’accoglienza ricevuta che decise allora di fare del suo pontificato un ministero itinerante che andava a incontrare i fedeli a casa loro, ovunque nel mondo.



Sembra che sia qualcosa che si sta ripentendo anche questa volta.

Direi di sì. L’impressione che abbiamo avuto ieri all’aeroporto è che il Papa sia stato colpitissimo da questa accoglienza.  Ha infatti avuto un comportamento inusuale dopo 14 ore di volo. Bisogna tenere conto che lui soffre molto quando cambia fusi orari, e infatti cerca di limitare il più possibile i viaggi intercontinentali. Invece ieri è rimasto in aeroporto tantissimo tempo, salutando i bambini uno ad uno e così anche gli handicappati, invece di andare a riposarsi come era previsto. Tanto che anche il suo seguito è rimasto sconcertato da questo atteggiamento del Papa.



E poi la folla sterminata lungo le strade.

Le immagini che mostravano questo ininterrotto fiume di gente lungo i 34 chilometri di percorso sono impressionanti. Questa zona del Messico, vale la pena di ricordarlo, è stata molto colpita dalla persecuzione anti cattolica degli anni Venti, quando i cosiddetti  cristeros si opposero alla persecuzione dando luogo a un’epopea di fede e di martirio. Se ne parla pochissimo nei libri di storia, anche qui in Messico questa storia è come rimossa, e il popolo di questa regione, la più cattolica del Messico, è stata toccata, come dicono i Padri della fede, dal sangue dei martiri e ha dato semi di fede. L’accoglienza di ieri non era solo quella che si fa a un Papa che viene a casa tua, ma sembrava qualcosa di molto di più.

Questa regione ha una percentuale di credenti praticanti altissima, il 94 percento. E’ possibile dire che una religiosità di stampo popolare abbia preservato negli anni questa fede, magari a differenza di quanto succede oggi nella nostra “ricca” e colta Europa occidentale?

Assolutamente sì, perché il cattolicesimo occidentale è come se si vergognasse della propria fede. Una colta élite cattolica dell’occidente ha un po’ disprezzato questa religiosità del popolo. Invece la Chiesa per tradizione, quella più profonda e più vera, è proprio quella che vive una religiosità popolare. In questo senso le vorrei raccontare un episodio.

Ci dica.

Venendo qui mi sono ricordato di una intervista fatta alcuni anni fa a Dolores Ortega, protagonista della persecuzione anti cattolica. Mi colpì quando raccontò che in quel periodo non c’era nessuna differenza tra intellettuali e popolo perché tutti vivevano lo stesso tipo di fede. A un certo punto invece vescovi e Vaticano fecero un errore gravissimo trattando con il potere, fidandosi del regime, mentre i cristiani morivano. Chiesero ai cattolici di deporre le armi e di consegnarsi, ma fu un inganno e vennero uccisi e imprigionati. Allora lei mi disse che loro avevano piena coscienza di questo, sapevano che era un tradimento. Io le chiesi allora perché lo avessero fatto. Lei rispose: lo facemmo perché lo chiedeva la Chiesa e per obbedienza ad essa.

Un episodio straordinariamente significativo.

Comportarsi così è tipico di una religiosità popolare che si affida completamente alla Chiesa e ai suoi pastori ed è quello che nei secoli è stato il nucleo centrale di ciò che ha permesso al cristianesimo di permanere e di restare nella storia.

 

Oggi il Messico vive un’altra violenza, quella della guerra per la droga, con migliaia di morti ogni anno. Ieri il Papa alla partenza ne ha accennato, crede che ne parlerà ancora?

 

Direi di sì. Proprio ieri il quotidiano messicano Milenium pubblicava un sondaggio in cui diceva che il 72 percento della popolazione si aspetta un messaggio forte del Papa su questo tema. All’aeroporto ha detto che questo è il dramma più importante e drammatico che sta vivendo il Messico in questo momento. Circa 60mila morti negli ultimi cinque anni. Il Papa ne ha parlato molto spesso anche in precedenza, definendo la droga un polipo che uccide i giovani e soffoca l’umanità. Ieri in aereo ha detto che bisogna opporsi a questo male e poi ha fatto cenno, quando salutava il Presidente messicano, dicendo che prega per chi soffre per la violenza. Penso che sia un tema molto sentito e ne parlerà: quando va in un Paese straniero non elimina mai i problemi sentiti dalla gente.

 

Veniamo alla visita a Cuba che seguirà quella messicana. Che prospettive apre? Negli ultimi anni il regime si è molto aperto con la Chiesa.

 

Ci sono stati dei passi avanti. Oggi la Chiesa a Cuba è il motore della democratizzazione, sta facendo un lavoro molto importante e molto intelligente. Il regime invece fra dei passi avanti e dei passi indietro. C’è questa difficile transizione gestita ancora da Fidel Castro per passare da vivo il potere al fratello. Un potere totalizzante e ancora gestito da Fidel, ma con Raul ci sono stati degli importanti processi. In occasione della visita del Papa, ad esempio, il regime ha liberato migliaia di prigionieri politici. Anche se non è ancora un regime democratico, con molto timore di ingerenze esterne lo steso regime vede nel viaggio un’occasione per mostrare i cambiamenti in atto. Ma anche con il timore che questi cambiamenti possano forzare la mano.

(Paolo Vites)