Caro Beppe Severgnini, lei ha proprio ragione: dobbiamo difendere le “Lolite”, cioè le ragazzine esibizioniste loro malgrado, anche per colpa “dei genitori, della pubblicità, della moda, della televisione”, come Lei giustamente ha scritto sul Corriere. Le Lolite che si scattano le foto mezze nude allo specchio per metterle in rete, come riporta nel Suo articolo. Dobbiamo difenderle, perché il lolitismo non è libertà, andare a cercare un partner adulto per provocazione, noia, mancanza di figura paterna, non è libertà: è un rapporto in cui i bracci della bilancia sono assolutamente differenti, e i pesi risultano falsati, anche se apparentemente sono uguali (libera scelta e consenso di entrambi).
Ma la medicina di salvarle con le leggi è buona ma non sufficiente: è chiudere la stalla quando i buoi sono scappati. Non bastano le leggi: si deve intervenire proprio su quei fattori che Lei enuncia: tv, moda, famiglia. Perché non è incarcerando gli adulti approfittatori che si migliora la vita dei giovani. E il punto è proprio lì: migliorare la vita, cioè ridare alla vita la dimensione di vita e non di scimmiottamento.
Infatti nella società postmoderna che strombazza l’accesso per tutti e il crollo delle barriere e delle differenze, c’è posto solo per chi si omologa alla figura del “giovane”, cioè di chi ha tre caratteristiche: buona salute, sessualmente attivo, abile a spendere. E questo passa attraverso le immagini della tv, della moda (quante modelle ultraminorenni girano vestite come le mamme quando cercavano un fidanzato?) e i discorsi che si fanno in famiglia.
E’ un’idea di “giovane”, quella delle tre caratteristiche suddette, che non ci piace; per noi essere giovane è volersi buttare alla scoperta della vita (ma li invitano a buggerarsene degli altri), è intessere legami (ma gli insegnano che il massimo è essere autonomi), è costruire (ma li fanno dipendere da mamma e papà fino a trent’anni).
Ma quest’idea di “giovane” è il solo modo per essere accettati: spregiudicati, spenderecci e soli, tanto soli. Allora il vecchio non esiste più: tutti i vecchi si mascherano da giovani con viagra e lifting. E i bambini e le bambine non esistono più: anche loro si mascherano da giovani con una sessualizzazione precoce sia nel vestire che nei comportamenti ammiccanti sin dai nove anni. Quante pubblicità vediamo con bambine che ancora non hanno iniziato la pubertà, ma si truccano come la mamma, portano i tacchi come la zia, spendono come la nonna?
Sono figlie che sanno di essere nate perché sopravvissute al vaglio della diagnosi genetica prenatale e nella loro mente (non sono cieche!) passa l’idea di essere vive perché sono “perfette” geneticamente (altrimenti non nascevano), e che dunque la società è fatta naturalmente solo per chi è perfetto, e che loro devono sforzarsi di perpetuare quella loro perfezione – cioè quella che imparano in tv. Da qui l’ansia da prestazione, lo stress da fallimento, la depressione, l’esibizionismo.
Perciò, caro Severgnini, uniamoci nella lotta contro questa società pedofobica, che odia l’idea stessa di bambino, che lo accetta solo se è perfetto (vede più bambini Down o con malattie genetiche in giro? Forse perché si è trovata una cura?) e lo vuole trasformare in piccolo consumatore. Che cittadino ne verrà fuori già lo vediamo, guardando i ragazzi di 20 anni, senza ideali, senza capacità di sacrificio; senza ideologie ma con tanta voglia di spendere esattamente come gli insegnano in tv.