Come mai, mentre il caso della Tav in val di Susa ha provocato da noi tutto questo putiferio, al di là del confine, in Francia, i lavori stanno procedendo da anni senza grandi problemi? Come mai dopo aver tranquillamente terminato lo scavo dei 57 chilometri di AlpTransit, la nuova galleria ferroviaria di base del San Gottardo, la Svizzera sta adesso altrettanto tranquillamente lavorando a quello della connessa galleria di base del Monte Ceneri, 15 chilometri tra Camorino presso Bellinzona e Vezia presso Lugano, col pieno consenso tanto delle popolazioni interessate quanto dell’opinione pubblica in genere? In Svizzera si è addirittura sviluppato un “turismo di cantiere”: ogni anno diverse migliaia di persone provenienti sia dall’interno che dall’estero, scolaresche ma non solo, vanno a visitare i due tunnel a cura di un apposito servizio di accoglienza organizzato dalla società che sta realizzando il traforo. E d’altra parte nella nostra stessa Italia i lavori preparatori della galleria di base del Brennero stanno procedendo senza né assedi di cantieri né blocchi autostradali.
Come si spiega tanta disparità tra situazioni geograficamente e socio-politicamente così simili? È molto semplice: si spiega con vent’anni di errori nel rapporto con gli abitanti della Val di Susa di cui peraltro sono responsabili tutti i governi di ogni colore che si sono succeduti a Roma in tale periodo, i quali tutti hanno lasciato che la burocrazia centrale gestisse appunto burocraticamente un’iniziativa che per il suo carattere straordinario esigeva ben altra sensibilità e ben altra attenzione.
Con riguardo al suo impatto sia fisico che sociale sul territorio interessato, il cantiere di una grande opera del genere si deve progettare con la stessa cura con cui si progetta l’opera da realizzare. Per venire al caso di AlpTransit, che è esemplare, quando si viaggia in auto dalla frontiera italo-svizzera di Chiasso verso il San Gottardo si corre per oltre cento chilometri a fianco del più grande cantiere attualmente aperto in Europa e non ce ne si accorge neanche. Questo perché la sua dettagliatissima progettazione è stata attentamente concordata con i comuni e con il Cantone, e nel suo attuarsi viene poi vigilata si può dire ogni giorno. Il fatto che inoltre l’iniziativa sia stata sottoposta al vaglio di referendum popolari da un lato ha costretto la società costruttrice a prestare la massima attenzione alle richieste del territorio, ma dall’altro ha dato all’opera una legittimazione sociale incontestabile. Dal momento, insomma, che sia il Paese intero che le popolazioni locali hanno approvato AlpTransit tramite referendum, nessuno ha potuto poi arrogarsi il ruolo di rappresentante di una presunta volontà popolare contraria.
Nel caso della Val Susa, invece, prima si è partiti cercando di camminare sulla testa dei valsusini, salvo qualche generica iniziativa di “pubbliche relazioni” e poi ogni volta si è andati di rincorsa ad affrontare i problemi mano a mano ci si ponevano, e per di più con risposte tardive e insufficienti, fino a quando il tessuto sociale e quello istituzionale si sono lacerati. Nella ferita che così si è aperta è allora entrata quella tossina del mondo in cui viviamo che è “l’antagonismo”: un fenomeno neo-anarchico che nei limiti delle sue forze (per fortuna limitate) è puramente distruttivo. È un movimento senza progetto per il quale qualsiasi lacerazione sociale è buona: può essere oggi il caso della Tav in Val di Susa come domani di nuovo quello della base americana di Vicenza o qualsiasi altra faccenda. Il problema in gioco è infatti un semplice pretesto.
Stando così le cose la risposta del governo Monti, che ha annunciato fermezza e insieme offerto 20 milioni di euro di stanziamenti straordinari a favore della Val di Susa, è nostro avviso ragionevole nei contenuti, ma sbagliata nel metodo. È ancora una volta il metodo centralista e molto prefettizio peraltro tipico di questo governo, che magari avrebbe potuto funzionare prima, ma non adesso che i buoi sono ormai scappati dalla stalla. Oggi occorre fare qualcosa di più come, ad esempio: a) convocare a Torino una conferenza nazionale in cui prendere in esame e discutere i pro e i contro di un progetto comunque aggiornato, nonché completo di credibili programmi straordinari di accompagnamento in materia di mitigazione del disagio e di investimenti specifici per lo sviluppo dell’economia della Valle; b) sciogliere tutte le amministrazioni locali della Valle e indire nuove elezioni; c) stabilire che, in sede di prima convocazione, le nuove amministrazioni dovranno esprimersi a favore o contro il progetto aggiornato e le relative misure straordinarie di accompagnamento restando inteso che, in caso di voto contrario della maggioranza dei Comuni, oppure di una doppia maggioranza di Comuni e di popolazione, l’opera procederà ma senza le prospettate misure straordinarie di accompagnamento.
In questo modo la campagna elettorale diventerebbe un grande momento di dibattito popolare sulle misure straordinarie di accompagnamento proposte, e il voto legittimerebbe comunque i Comuni, i Sindaci come unici rappresentanti autentici delle popolazioni interessate. La fermezza è necessaria, ma non sufficiente: senza un programma credibile di misure di accompagnamento e senza una forte interlocuzione con amministrazioni locali ben accreditate la questione comunque non si sbloccherà.