Oggi, 8 marzo, si festeggia la donna. Anzi, la Giornata internazionale della donna. Inizialmente “Woman’s Day” tenutosi la prima volta negli Stati Uniti nel 1909 principalmente per ottenere il voto femminile, la festività venne spostata all’8 marzo per ricordare l’8 marzo 1917 quando molte donne manifestarono a San Pietroburgo per chiedere la fine della guerra. Di fatto, quel giorno segnò l’inizio della rivoluzione russa contro lo zarismo. Negli anni, con l’avvento del femminismo, è diventata sempre più una ricorrenza con una forte componente ideologica. Vale la pena chiedersi allora che cosa significhi oggi, nel Terzo millennio, la festa della donna. IlSussidiario.net lo ha chiesto a Susanna Mantovani, prorettore e docente ordinario di Pedagogia generale e sociale nell’Università di Milano Bicocca.



“Non sempre le iniziative di questo tipo” dice “mi entusiasmano, però se le cose vengono dette bene in modo equilibrato, allora è ancora il caso di ricordare quanto le donne non siano rappresentante in modo adeguato rispetto al loro titolo di studio o alle competenze che hanno”. Per la professoressa Mantovani siamo ancora in mancanza di  un modello culturale che dia vere risposte ai bisogni delle donne: “Sarebbe il caso si pensasse maggiormente a rendere anche in Italia il congedo di paternità una cosa funzionale. Sarebbe un messaggio che gioverebbe anche alle donne, nel sottolineare che il figlio è un bene comune di entrambi i genitori”.



Professoressa, la festività dell’8 marzo ha ancora un valore, un significato, nel 2012?

Innanzitutto non è una festività. E’ una ricorrenza, cioè qualcosa che si ricorda. Come qualcuno può ricordare l’11 febbraio, l’anniversario dei Patti Lateranesi, che una volta era festività e oggi non lo è più, l’8 marzo si dice allo stesso modo che è la festa della donna.

E lei come vive questa ricorrenza?

Non sempre le iniziative di questo tipo mi entusiasmano, però quando alcune cose vengono dette bene come ho visto fare in questi ultimi giorni e che cioè le donne non sono rappresentate rispetto al titolo di studio o le competenze che hanno in molte professioni e in molti posti di responsabilità, direi che si fa bene a ricordarlo. Attirare cioè l’attenzione su questa realtà non mi sembra del tutto inutile. Dipende certamente da come viene vissuta e presentata questa ricorrenza.



C’è ancora una scarsa valorizzazione della donna nel mondo del lavoro, dunque.

In ambienti come il mio, quello universitario, o anche in precedenza quando facevo il preside e metà dei presidi erano donne, posso dire che questa problematica femminile non si sente in modo così evidente.  Però anche nell’università non è sempre così.

Si parla moltissimo di quote rosa, anche il Parlamento europeo ha fatto notare che esse nel mondo del lavoro andrebbero aumentate.

Non mi piace il termine quote rosa ed è anche un colore che non mi entusiasma. Anche qui va valutato il modo con cui si fa uso di questo termine. Se quote rosa deve diventare un pensiero a cui chi deve dare posti di lavoro è costretto a pensare, e se bisogna pensare che avere le quote rosa sia un vantaggio come se le donne fossero dei disabili, c’è qualcosa che non va. Viceversa, una spinta non troppo vessatoria, ma ribadita al fatto di tenere presente questo aspetto non mi sembra così fastidiosa.

Però anche quando le viene dato spazio nel mondo del lavoro, la donna trova difficoltà che l’uomo non ha.

Sì, questo è vero particolarmente per le donne che hanno ruoli importanti in azienda, penso ai quadri femminili che quando vanno in maternità subiscono forti pressioni perché ritornino al lavoro al più presto possibile. Le donne devono fare figli ma se stanno fuori del lavoro troppo tempo sono per così dire messe sotto accusa.

Quali obbiettivi andrebbero perseguiti secondo lei perché maternità e lavoro non siano in contrapposizione tra di loro?

Credo sia un discorso di mentalità. In molti Paesi ad esempio si spinge molto sul congedo di paternità: crea una apertura a un valore, che i genitori siano disponibili per tutti. Anni fa feci parte del gruppo dell’Ocse che si era recato in Svezia per un’analisi dei servizi. Fummo ricevuti dal ministro del Welfare che ci disse si sarebbe assentato per due settimane perché andava in congedo di paternità. Mi sembra che un ministro che si prende un congedo di paternità sia un bel messaggio che giova anche alle donne, perché vuol dire che avere figli è normale, è un bene comune. In questo senso, se serve a far riflettere che la donna che lavora è la stessa che ha il diritto di avere bambini, allora l’8 marzo non è solo folclore.

Si è parlato molto ultimamente, visti i tragici fatti di cronaca, di “femminicidio”, violenza fino all’assassinio sulle donne. Pensa sia un termine esagerato rispetto alla realtà dei casi?

Non conosco i dati statistici esatti, per cui potrebbe essere un termine usato dalla stampa per fare sensazione. Però mi sembra di capire che i casi di violenza sulla donna siano numerosi. Credo anche che questa violenza trovi la sua ragione in una evoluzione squilibrata dei rapporti tra i sessi verificatasi in modo troppo rapido negli ultimi anni. Certe esplosioni di violenza ne sono l’effetto. La violenza sulla donna poi si concentra ancora per lo più all’interno della famiglia e direi sia un retaggio non ancora assorbito dell’antica idea di delitto d’onore. Ricordo ancora quando esso fu finalmente tolto dal codice penale, l’idea che una donna poteva essere uccisa senza venir condannati perché si era agito in difesa di un onore ipotetico.

Viviamo poi in tempo di immigrazione di popoli che hanno ancora quel concetto.

Sì. Direi che un dibattito forte e pubblico su questi casi di violenza familiare possa essere una riflessione utile a tutti.

La Chiesa ha sempre comunicato un messaggio preciso sulla donna, ad esempio sulla mercificazione che questa società fa del suo corpo. Lei pensa che dovrebbe comunicare ancora di più?

Ritengo che la Chiesa abbia sempre fatto un’ottima comunicazione sul valore della donna, con un messaggio chiaro contrario alla sua mercificazione. Non sono una moralista, ma credo che su questo aspetto non solo la Chiesa dovrebbe attivarsi maggiormente. Anche per il corpo maschile  dovrebbe valere questa idea della non mercificazione umiliante dei corpi.