94 embrioni, assieme a 130 ovociti e 5 campioni di liquido seminale, sono andati distrutti in una sola volta. All’ospedale San Filippo Neri di Roma si è verificato un guasto all’impianto di azoto liquido che alimenta il servizio di criobiologia per la conservazione, mediante congelamento, del materiale biologico del centro di procreazione medicalmente assistita della struttura. Una tragedia. «Perché l’embrione è vita», afferma, raggiunta da ilSussidiario.net Assuntina Morresi, membro del Comitato nazionale di bioetica. «Dal momento del concepimento fino alla morte – spiega – nulla interviene per determinare un salto di qualità tra l’essere umano e il non essere umano. Quindi, si tratta di 94 vite che sono andate perdute». Di più. «94 persone: si fa fatica a identificarle come tali, perché non ne hanno le fattezze visibili. Tuttavia, non sono altro che ciò che siamo stati all’inizio, quando eravamo un gruppo di cellule specificamente diverse dalle altre, con un determinato patrimonio genetico e insito uno sviluppo che avrebbe portato alle nostre fattezze attuali».
La giurisprudenza in merito non è esente da colpe. «Nel maggio del 2009 ci fu una sentenza della Corte costituzionale che eliminò il numero massimo di 3 embrioni da trasferire nell’utero, aprendo alla possibilità del congelamento di quelli in sovrannumero. Anche prima della sentenza, tuttavia, esisteva la possibilità congelare gli embrioni. Perché tra il momento in cui essi si formano, con il contatto tra l’ovocita e lo spermatozoo, e il trasferimento, possono passare alcuni giorni». Ecco cosa potrebbe accadere: «In questo lasso di tempo la donna potrebbe avere complicazioni fisiche, e potrebbe essere necessario attendere, congelando di conseguenza gli embrioni». Non solo: «La donna non può rifiutare il trasferimento nell’utero; il rifiuto è illegale perché il concepito è tutelato dall’articolo 1 della legge 40. Tuttavia, contestualmente, non può essere obbligata a tale trasferimento. Non è prevista alcuna forma di coercizione in tal senso – come è logico che sia – né sono previste sanzioni in caso contrario». Se anche prima della sentenza, l’ipotesi di crioconservazione esisteva, dalla sua emanazione le cose sono drasticamente cambiate: «il numero di congelamenti è aumentato di dieci volte, mentre le maternità no. Tuttavia, si tratta di dati relativi a sei mesi dall’applicazione dalla sentenza. Occorrerà attendere un anno per capire se sono attendibili». In ogni caso, «sarebbe sufficiente osservare alla lettera la legge. Gli embrioni dovrebbero essere creati in misura “strettamente necessaria alla procreazione”. Sta al medico, quindi, adoperarsi in tal senso». Perché, allora, se ne creano di più? «per aumentare – risponde Morresi – la possibilità di rimanere incinta. In sostanza, se ne creano tanti e subito per ottimizzare i tempi e i costi».
Una questione di business. «Va detto, infatti, che la legge fu approvata per porre degli argini alle pratiche già in uso; pratiche che si diffusero perché, da un lato, la nascita è un tema che evoca profonde esigenze; dall’altro, perché attorno ad esse ruota un grandissimo giro d’affari». In conclusione: «l’alternativa era impedire questi processi fin da subito. Ma la prima bambina nacque in vitro nel lontano ’78. Una volta che si consente la creazione in laboratorio di un embrione, il solo fatto di averlo “a disposizione”, apre a tutte le altre possibilità, quali il congelamento o la tragedia di oggi».