Padri e figli nell’occhio della bufera. Da una parte Renzo Bossi che rischia non solo di far crollare un intero partito, la Lega, ma che ha messo a dura prova un Umberto Bossi mai visto così demoralizzato e sconfortato; dall’altra Pierandrea Semeraro, figlio di Giovanni, noto imprenditore e proprietario della squadra di calcio del Lecce. Il giovane Semeraro infatti, secondo le accuse, sarebbe responsabile di essersi venduto la famosa partita con il Bari, che non è una partita qualunque ma il derby del Sud Italia. Quello che spicca in queste vicende è il genuino, così sembrerebbe almeno, sconforto di entrambi i genitori, che appaiono come all’oscuro dei comportamenti, delle vicende personali, insomma non sanno più chi sono i figli che pensavano di conoscere. Naturalmente, come dice Claudio Risé a IlSussidiario.net, siamo ancora nel campo delle ipotesi: nessuno è stato condannato e si tratta di vicende così personali di cui soltanto i padri coinvolti possono sapere lo spessore e le responsabilità del figlio. Resta la domanda fatta da Semeraro padre: “Se mio figlio non dice la verità a me, a chi deve dirla?”. Secondo Risé, “queste vicende ci devono far riflettere: sembra di assistere alla rivolta di alcuni figli nei confronti dei loro padri e delle funzioni da loro ricoperte nella società”.
Professore, quale può essere il giudizio di fronte a delle vicende che sembrano mostrarci come un figlio possa essere sconosciuto allo stesso padre?
Per prima cosa, di fronte a casi come questi impongo a me stesso di non intervenire in vicende personali di cui soltanto i padri coinvolti possono sapere lo spessore e le responsabilità dell’altro. Questo dal punto di vista di un giudizio è la sola cosa che mi sento di dire. Però la cosa che colpisce è il fatto che questi figli di persone che hanno comunque importanti responsabilità pubbliche, sia a livello politico che imprenditoriale – sempre che sia accaduto veramente quello di cui vengono accusati – ci mettono davanti a delle mancanze gravi da parte di questi stessi figli nei confronti della società, del mondo sociale, del prossimo e delle norme che ci regolano.
Lei dunque mette in primo piano il ruolo nei confronti della società prima che il rapporto padre-figlio?
Non dobbiamo dimenticare che anche l’imprenditore, penso al caso Semeraro, che è anche un importante presidente di una società di calcio, ha delle responsabilità nei confronti del sociale. Allora un punto su cui riflettere è che il comportamento di questi figli potrebbe esser visto come una rivolta nei confronti dell’identità di questi padri e delle funzioni da loro ricoperte nella società.
E il ruolo del padre in tutto questo? Di questi padri, parliamo di Bossi e di Semeraro, che come ha ricordato lei sono personalità di spicco della vita pubblica.
C’è una contraddizione presente ed evidente tra questi padri socialmente esposti – alcuni riconoscevano nella propria storia, nella propria vita delle vere e proprie missioni – e il comportamento di questi figli. Questa secondo me è la cosa rilevante e interessante da meditare e riflettere.
La frase: “Se mio figlio non dice la verità a me, a chi deve dirla”, come la giudica?
La giudico una frase molto ingenua. Non significa nulla se non che il padre è in una posizione di forte ingenuità. Se al padre si dicesse sempre la verità sarebbe sicuramente in un altro mondo, ma non è questo il caso, come tutti sappiamo. Questo padre parte da un assunto sbagliato.
Quale?
La sua frase non è attuale, in realtà non sappiamo neppure quanto lo sia mai stata. Dire la verità al padre significa scambiare il padre con una figura di giudice – a cui non si può mentire – che non è quella di oggi e non so se lo sia mai stata: cioè quella di una figura storicamente valida e presente senza contraddizione alcuna.
Secondo le si può dire che alla fine è sempre la libertà del singolo, che sia padre o figlio, a giocare il ruolo decisivo?
Ma certamente. La libertà del figlio di dire, e la libertà del padre di capire a partire da ciò che il figlio gli dice e dimostra di voler dire. Non solo, dunque, la dichiarazione esplicita a parole, ma la dichiarazione che il padre può leggere nei comportamenti e nei costumi del figlio. Sono due libertà che se non scattano vicendevolmente, il rapporto si chiude e succede quello che potrebbe essere successo in questi due casi di cronaca.