MORTO PIERMARIO MOROSINI. Piermario Morosini non è un ragazzo sfortunato. Perseguitato da un destino crudele. Il dramma della sua morte in campo, i tentativi di rialzarsi e quell’abbandono con gli occhi spalancati, alzati al cielo, restano per tutti a segnare un fato beffardo, incomprensibile e ingiusto.
Si può morire così a 26 anni? Non ne aveva passate già abbastanza? Orfano di madre fin da piccolo, poi il papà, e quel fratello diverso, disabile che non aveva saputo tirare avanti, e continuare a vivere. Lui è rimasto, a curarsi del suo pezzo di famiglia, la sorella, malata anche lei. A rincorrere quel pallone che sognava fin da ragazzino, e che aveva tirato in rete una volta sola, 18 marzo 2008, Modena-Vicenza, 33 primo tempo. Una vita da mediano, che fatica a mezzo campo, che la gloria la regala agli altri.
Non era famoso, Piermario, ma molto amato, pieno di amici, ed è commovente leggere i messaggi, ascoltare i ricordi. Anche di chi non lo conosceva. E’ vero, muoiono tanti ragazzi ogni giorno, vicini a noi, e non toccano tante corde dell’emozione. E’ così, certi mondi sono più in vista, certe scene attirano di più i riflettori. E l’inevitabile retorica. Ma non bisogna essere troppo severi.
Dai tempi più antichi il giovane eroe che chiude gli occhi sul mondo in età prematura suscita domande e spalanca gli occhi sul mistero. Non a caso gli antichi dicevano muore giovane colui che al cielo è caro, e il fatto che la ricantino i Queen per la morte di Freddy Mercury mostra solo che certi miti sono eterni, certe citazioni si adattano all’uomo di ogni epoca e cultura, non a caso si parla di classici. Piangere Piermario non significa esaltare ancora e soltanto esaltare la figura del calciatore, del personaggio mediatico, di chi ha successo, e più facilmente nuove lacrime superficiali. Anche perchè non era così celebre, non era né un Dalla né un Simoncelli.
Anzi, quel suo essere un ragazzo normale, uno come tanti che consociamo, che aveva lavorato duro, per farcela, e mica a giocare al Barca, ma ad essere conosciuto in quella sua Toscana che amava…non era una leggenda del calcio. Ma il calcio questa volta ha saputo ricordarsi che è uno sport, che è fatta di passione e lealtà e nobiltà e rispetto. Ha saputo ricordare che in campo ci sono dei ragazzi, non delle slot machine o dei fenomeni da palestra. E in tutte le sue piazze ha chiesto silenzio, ricordo. Hanno detto sì i grandi club e i circoli sportivi di periferia, dove i bambini stamattina hanno fermato i loro tornei giocosi per quel ragazzo che chiamavano il moro, e magari non avevano mai notato nell’album delle figurine.
Però, nel leggere questa storia, proviamo a guardarla coi suoi occhi. Andiamo a fare un giro sul suo profilo twitter, quello dove oggi si azzeppano cordoglio e un po’ banali frasi di circostanza. Non era banale, Piermario. Il suo hashtag era “solo cose belle”, e le sue poche battute, giorno dopo giorno, sono un inno alla vita. “Con la mia Annina sotto questo cielo toscano” (che bello, Annina sorridere con lui in quella foto, che bei giorni avete goduto insieme). “W la Toscana, w l’amicizia, w il Pibe.” Non perché Maradona è il più grande e famoso, ma perché ha una faccia allegra e felice. Commenta la Pasqua: “Una stupenda Pasqua toscana, tra affetti veri, amici, cani, sole, pioggia, ancora sole…Pienezza”.
Pienezza. Quanti dei nostri figli possono dirlo, per la semplicità quotidiana? E dire che non aveva una vita semplice, aveva sofferto tanto. Eppure, “There is always hope”. Eppure, sapeva guardare alle piccole cose, e amarle: “Ala cassa del supermercato uno strepitoso vecchietto toscano che se la canticchiava mi ha rallegrato la giornata”. Eppure era un combattente, e si esaltava per il coraggio: “Act of valor! Dare la propria vita per la libertà di un popolo…magnifico ed emozionante”. Lui ne aveva tanto, di coraggio.
Chiamatelo sfortunato, un ragazzo così. Chiedetevi se non è una grazia speciale, vivere di tanta pienezza. Sfortuna è vivacchiare, farsi passare addosso la vita, lamentando l’incapacità di coglierla come occasione. Lo so, sembra follia, siamo così stupendamente attaccati a questa meraviglioso pezzo di terra. E giustamente piangiamo chi ci è caro, o ci diventa caro, e ci lascia presto. Ma siamo certi, certi davvero, che il moro la pensi così? Che non fosse già pronto per quell’altra avventura?