Oggi è grande festa alla Cometa, o meglio alla scuola Oliver Tiwst di Como: c’è una lezione sul tema “cosa c’è dietro a una risata” e a raccontarlo saranno Giovanni e Giacomo, i due terzi del trio comico più famoso d’Italia. Sarà festa perché loro sono simpaticissimi, ma anche perché si celebrerà l’incontro con l’umanità di due persone solari e normali. Giacomo l’ho conosciuto a Varigotti due estati fa e Giovanni è ormai un ospite fisso di Golosaria nel Monferrato. Poi Giacomo, almeno una volta al mese, scrive su La Stampa raccontando le cose della vita di tutti i giorni, sempre con la sua garbata ironia e con la sua storia, che proviene dalla famiglia, dal primo lavoro da infermiere e poi da questa professione che un giorno – ha detto – è un po’ come l’immagine di Dio, perché lui il paradiso se lo immagina in braccio all’Essere, mentre si fanno delle grandi risate.
È passato un mese da quando sono stato alla Cometa e poi ho messo giù queste righe di memoria per la prossima Circolare, il giornale che invio ai soci di Papillon. E in questo mese non sono ancora riuscito a cancellarmi di dosso l’immagine del saluto. Di quando Erasmo Figini ha preso in braccio quella bambina che si era appena svegliata, una bambina di poco più di un anno, e ha chiesto a sua moglie: “Deve venire il giudice?”. “Domani” le ha risposto serena la moglie. E lui l’ha stretta a sé, l’ha tenuta in braccio, baciandola sulle guance, mentre facevamo il giro per i prati. Il domani era quello del giudice che sarebbe arrivato per darle la destinazione definitiva dell’adozione, perché i Figini, come gli altri amici con famiglie che si sono messi a disposizione per questa opera di pre-adozione, dovranno lasciare ad altri questi fanciulli che la Provvidenza ha fatto capitare, magari abbandonati subito dopo la nascita, in questo piccolo Paradiso. Io credo che tutta l’opera di Cometa sia in quell’abbraccio che aveva un velo di tristezza, ma anche di fede: non possediamo nulla – diceva quella risposta della moglie – neanche i nostri figli, ma se vogliamo possiamo metterci al servizio di un Altro, per accompagnare il destino, misterioso, di ogni essere.
Quando sono salito in auto con Luca Doninelli e mia figlia, tutti e tre avevamo l’idea che questa fosse una cosa dell’altro mondo. Ma non per dire di una grandezza che va ostentata, ma per sottolineare un’altra misura, che ti rende più certo del momento presente. Come una cosa buona, proprio una cosa buona da mangiare, che ti rende certo che tutto è stato fatto per quell’abbraccio: quello evocato da Giacomo, ma anche quello di Erasmo con la bambina che è stata mesi con lui e sua moglie, a piangere e ridere, a dormire e a guardare che il mondo c’è, nonostante l’inizio incerto di un’esistenza.
Con Erasmo siamo poi stati in cucina, perché qui imparano anche a far da mangiare, a servire ai tavoli, a fare il servizio bar e presto a fare il gelato e il cioccolato. In un angolo della cucina, mentre discutevamo di come il gelato potesse essere quella cosa buona che ti rende certo, Erasmo mi ha detto: “O è una cosa grande o per meno cambio tutto: l’ho promesso a don Giussani quando gli ho detto di sì”.
Poi siamo stati nella sala da pranzo di questa famiglia allargata, che ha un tavolo su cui un giorno scrissi l’editoriale di un numero del mio giornale. Un tavolo a forma rettangolare, dove tutti si guardano e dove c’è sempre il posto a tavola, come nei monasteri benedettini, che in quel modo non cedono nulla alla manifestazione di un unisono. Una tavolo di legno, bellissimo, che infonde calore, come le sale dove i ragazzi fanno il doposcuola, seguiti dai volontari, oppure in giardino guardando sullo sfondo il lago di Como. Centinaia e centinaia di ragazzi ogni giorno vengono qui, alcuni vi abitano. Tutti, da chi ha un bisogno a chi fa il volontario, cercano un luogo, che è il viatico di una strada, anche professionale, da percorrere. E quante risorse ci sono nell’animo di una persona, quante sensibilità che ricominciano ad esprimersi. A me questa storia della Cometa ricorda mia mamma, quando durante quei pomeriggi assolati di primavera lei mi vedeva giù di corda perché la matematica non mi riusciva. E allora mi abbracciava e mi diceva sorridendo: “Su dai, vedrai che ce la fai!”. E me lo diceva ben sapendo che lei non poteva aiutarmi: aveva appena la terza media, eppure quell’incoraggiamento ti faceva mettere sopra ai libri con un piglio diverso. Anche Erasmo e i suoi amici fanno così: non risolvono i problemi, ma sono quell’incoraggiamento presente che cambia la prospettiva alle cose.
Quel giorno alla scuola Cometa ho parlato del gusto, sotto un fuoco di domande degli studenti che si erano preparati. Ho parlato di come passo dopo passo sono arrivato a capire che questo era il lavoro. Un lavoro straordinario – dico ora – se ti permette di fare degli incontri del genere.