Un cittadino tedesco ha presentato ricorso di fronte alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo per chiedere che fosse tutelato il suo diritto a rompere il tabù dell’incesto. Patrick Stubing ha vissuto in orfanatrofio dall’età di tre anni, e nel 2000 ha incontrato la sorella naturale Susan Karolewski che non aveva mai conosciuto prima. I due hanno messo al mondo quattro figli, due dei quali con tare fisiche, quindi il tribunale tedesco ha ordinato l’incarcerazione di Stubing. Di fronte al suo ricorso, la Corte Europea ha ribadito che il divieto all’incesto nasce da convinzioni profondamente radicate nella società, nella quale “ora come prima rimane forte la convinzione che si tratti di un reato da punire”. Ilsussidiario.net ha intervistato Claudia Navarini, professoressa di Filosofia morale all’Università Europea di Roma.
Professoressa Navarini, come valuta il divieto all’incesto ribadito dalla Corte Europea?
Lo ritengo un atteggiamento corretto, in quanto da sempre la società ha condannato il matrimonio tra consanguinei, per una serie di ragioni più che intuibili. In primo luogo per i possibili abusi che si potrebbero derivarne, oltre che per tutti i danni che ne possono conseguire nella prole. Il sistema giuridico è interessato soprattutto alla tutela dei figli, e la procreazione tra consanguinei è da scoraggiare perché comporta una elevata probabilità di tare genetiche e di un indebolimento oggettivo anche delle generazioni successive.
Il motivo per cui il matrimonio tra consanguinei deve essere vietato è quindi soltanto per il rischio di malformazioni nei figli?
Il problema dei figli è fondamentale, ma quando si parla di naturalità dei rapporti si intercetta una serie di elementi, tra cui l’eterosessualità, in quanto per natura sono uomo e donna a essere adatti a formare un’unione completa. Nel concetto di naturalità c’è anche una distanza familiare ed educativa che esula dalla consanguineità. Ricordo del resto che la fecondazione artificiale eterologa, consentita dalla legislazione di numerosi Paesi, comporta il rischio che con l’anonimato dei donatori nascano dei figli da consanguinei che non sanno di esserlo. Si potrebbero verificare quindi situazioni come quella sanzionata dal tribunale tedesco, magari in misura anche maggiore, legata alla totale inconsapevolezza della consanguineità.
Ritiene che invece il matrimonio tra coppie omosessuali vada consentito?
Le situazioni sono oggettivamente diverse, perché le motivazioni per cui un matrimonio tra consanguinei deve essere condannato sono evidenti. D’altra parte nel consentire il matrimonio tra omosessuali si insinua un deficit di prospettiva che affligge la cultura europea, e che consiste nel valutare solo i danni fisici tralasciando quelli morali. E’ vero che un matrimonio tra persone con grado di parentela produce danni fisici alla prole, ma le nozze tra persone dello stesso sesso provocano danni non inferiori da un punto di vista morale e sociale. Compito dello Stato non è stabilire quanto sia autentico l’amore tra due persone, ma quanto un’unione sia nell’interesse della comunità. In questo caso occorre distinguere tra le tutele soggettive e individuali nei confronti di tutte le persone, incluse quelle che volessero cercare modalità di unione omosessuale, e la loro equiparazione a un’unione coniugale. La seconda scelta è impropria dal punto di vista giuridico, anche in quanto non esiste un interesse dello Stato affinché queste unioni avvengano dal momento che non possono procreare, e laddove procreassero con modalità alternative come la fecondazione eterologa, comunque si andrebbe incontro anche a un danno educativo sul quale la comunità scientifica e psicopedagogica si sta molto confrontando.
Lei ha parlato di “naturalità dei rapporti”. E’ un concetto con valore giuridico, o soltanto etico o filosofico?
L’idea di natura oggi è una delle più impopolari, ma la legge morale naturale continua a rappresentare la base del diritto. Esistono elementi inalienabili che il diritto è tenuto a tutelare in qualunque contesto possibile. Il diritto alla vita, alla salute, alla libertà caratterizzano infatti l’uomo in quanto uomo, e non le sue condizioni specifiche in relazione alle scelte, all’età o ad altri fattori. Sono quindi dei diritti naturali, in quanto appartengono agli uomini in quanto dotati di anima razionale, che configurano una serie di esigenze diverse cui corrispondono dei diritti legati a particolari condizioni, come quello al voto o al matrimonio. Osservo infine che nell’attuale forma giuridica delle risoluzioni europee c’è la tendenza a non considerare più la cellula basilare della società come l’uomo in relazione, ma l’individuo in quanto soggetto irrelato.
(Pietro Vernizzi)