Inizia la settimana santa, e mentre si chiude la domenica della Palme davanti all’imbrunire sulle colline del Monferrato (in ritiro, dopo il tourbillon di Vinitaly a Verona, a scrivere un nuovo libro dedicato al vino), penso al senso d’attesa che suscita il cammino di questo giorni. Che peccato non fare i conti, in qualsiasi posizione umana uno si trovi, col Dono piovuto nella storia: compagnia infinita che sa tenerti desto anche con questo tramonto infuocato dietro ai vigneti. E poco più in là, domattina, il sorgere del sole dietro al cimitero di Montemagno, dove riposa Cilla, la mia amica che cantava “adios con el corason”, mentre il Destino la portava via. Sono passati 35 anni e sono qui, nel suo paese, proprio sulla strada che conduce al cimitero di collina, che guarda il mio medesimo orizzonte: il castello, i vigneti, qualche macchia di bosco e poi le vallate spensierate, al di là del colle, di Grana e di Casorzo. La settimana santa mette a fuoco tutto, anche il senso della morte, del dramma dell’umanità, del tradimento e della consolazione, del pane e del vino.
Curiosamente Montemagno è una città che celebra due storie: del pane e del vino. Il primo, buonissimo, è la grissia a pasta dura che neanche un mese fa, col sindaco, abbiamo celebrato con la denominazione comunale; il vino invece è la Barbera, ma anche il Grignolino e il Ruchè, rosso rarissimo prodotto solo in sei comuni, che in questi giorni sarà sulla mia tavola. Sotto l’agriturismo I Gelsi, che porta il nome di una pianta bellissima, capace di ombra, di solidità e anche di frutti, c’è il ristorante dei fratelli Palermino, la Braja, che è una meta radiosa.
Ma intorno a questi paesi saprei dirvi a occhi chiusi dove e per quale motivo ci si deve recare per assaggiare le specialità: a Grana andate al Roma per la finanziera, mentre all’agriturismo Cà du Sindic fanno il fritto misto. Se poi si vira per Casorzo, ecco lo spettacolo del bialbero, ovvero un gelso dentro cui è cresciuto un ciliegio. E questo è il paese della Malvasia, vino dolce rosso, di inusitata piacevolezza. Rischio di perdermi, lo so, dentro ai racconti di questa terra, che ho scelto per un parto difficile com’è quello di scrivere un nuovo libro, a 51 anni.
Non voglio dire che sia anziano, perchè proprio non lo penso, ma certo questa è ormai un’età di transito dove tanti non ci sono più e non da oggi. Ciò che non cambia è invece il fascino e il pensiero di cercare quei racconto dentro al vino, quella faccenda che nasce come un parto, misto di dolore e distruzione e poi di vita altra.
Non so ancora bene che racconterò del vino, ancora (è il quinto dei miei libri sul tema), ma certo questa settimana – anche per recuperare dell’assenza della scorsa – sul sussidiario troveremo tanti dei motivi della Pasqua, che si legano, come un simbolo vicino al mangiare e bere, al Mistero che si celebra.