Da questa settimana la pillola dei cinque giorni dopo sarà regolarmente in vendita in tutte le farmacie italiane. Definita “la nuova frontiera della contraccezione”, in realtà nasconde numerose insidie e un contenuto solo apparentemente contraccettivo. Farmaco a base di ulipristal acetato, avrà bisogno di una ricetta medica non ripetibile per essere acquistato. Non solo: il medico prima di prescriverlo dovrà verificare l’assenza di una gravidanza preesistente con l’esito negativo di un test a base di beta Hcg. Il test ovviamente si può fare con il semplice stick sulle urine in vendita in farmacia se non lo si vuole fare in maniera più sicura con l’esame del sangue. Misure che diversi esponenti del mondo della medicina hanno dichiarato essere così esagerate e complicate che indurranno molte donne ad acquistare il farmaco direttamente su Internet con tutti i rischi del caso.



Secondo Eugenia Roccella, contattata da IlSussidiario.net, il problema è ben altro che quello di rendere più semplice l’acquisto della pillola. “Anche se viene spacciato come contraccettivo” spiega Roccella “in realtà siamo davanti a un prodotto abortivo. Sempre di più si cerca di mascherare prodotti abortivi con il termine contraccettivo per ovvie ragioni”. Ragioni che secondo l’onorevole Roccella risiedono in una cattiva informazione fatta appositamente per non rendere evidente l’effetto abortivo di tali farmaci: “Usare la parola aborto” spiega “può avere effetti psicologicamente e culturalmente disturbanti per chi invoca questi medicinali. Il problema non è chiedere di abolire la ricetta: l’Italia è uno dei pochi Paesi europei che offrono garanzie sanitarie su questo tema. Le politiche di tanti Paesi impostate sull’uso del libero accesso al contraccettivo, dell’educazione sessuale a tutti i livelli scolastici hanno dimostrato di essere politiche fallimentari: in Svezia, Inghilterra e Francia si registra il maggior numero di aborti fra minori di tutta Europa”.



Onorevole, fra poco la pillola dei cinque giorni sarà regolarmente in vendita anche in Italia. Qual è il suo commento a proposito?

Spieghiamo innanzitutto come si è arrivati a questo punto. C’è stato infatti un procedimento diverso rispetto al caso della pillola RU 486. La pillola dei cinque giorni è stata autorizzata dall’Ente europeo perché l’azienda che la produce ha chiesto la cosiddetta procedura centralizzata. Questo significa che a differenza della RU 486 dove si era proceduto con un csos di mutuo riconoscimento – la Francia che chiedeva all’Italia di fare ciò – qui per richiesta espressa dell’azienda ci si è rivolti all’Ente europeo di cui il nostro Paese fa parte.



Questo cosa ha comportato?

Ha comportato che l’ente di vigilanza italiana, l’Aifa, l’Agenzia italiana del farmaco, non ha potuto assolutamente opporsi alla sua messa in commercio. Mentre con la RU l’Aifa aveva maggiori margini perché si trattava di un procedura di mutuo riconoscimento, in questo caso su questa pillola non aveva assolutamente margini di valutazione soggettiva e autonoma.

Dunque una sorta di imposizione, possiamo dire.

Se l’azienda che produce un farmaco decide di scegliere la procedura centralizzata rivolgendosi all’Ente europeo di cui l’Italia fa parte, insieme a tutti gli altri Paesi, tutte le nazioni della Ue sono obbligate a introdurre il farmaco senza poter fare una valutazione autonoma. Questo è un passaggio importante da chiarire.

Che giudizio dà lei della nuova pillola?

Secondo l’Ente europeo la pillola non è un abortivo. Questo benché il principio attivo sia lo stesso della RU. Secondo l’Ente europeo non è abortivo quindi non ricade sotto le legislazioni nazionali sull’aborto. 

E che cosa sarebbe allora questa pillola?

E’ definita un contraccettivo, ma, lo ripeto di nuovo, non è stata l’Aifa a definirla tale.

Ma lei che opinione ne ha?

A me pare difficile che questa nuova categoria di farmaci cosiddetti post concezionali – che è un ossimoro in realtà – siano solo dei contraccettivi. Però oggi osserviamo che sempre di più ci si sposta verso un cosiddetto contraccettivo a posteriori con più o meno rischi abortivi. Sempre di più si eviterà di registrare questo tipo di farmaci come abortivi. Presto non ci saranno più le pillole abortive, nessuno registrerà un farmaco come pillola abortiva perché se dici la parola aborto ricadi sotto le legislazioni nazionali in materia appunto di aborto.

 

E poi usare la parola aborto non richiama a qualcosa di drammatico che si cerca invece di passare sotto banco?

 

Certo, dire aborto crea allarme psicologico, crea un allarme anche culturale. Io non posso entrare direttamente nella valutazione scientifica del nuovo farmaco, devo dire però che mi suona molto strano che una pillola che ha lo stesso principio attivo di una fascia così lunga di pillole abortive non abbia poi rischi abortivi, mi pare veramente difficile. Quello che sta accadendo è che con lo stesso principio della pillola abortiva sempre di più si cercherà di spacciare i farmaci abortivi come contraccettivi. 

 

Tra l’altro per avere la ricetta bisogna sottoporsi a un test di gravidanza.

 

Si chiede un test perché prima di tutto l’Aifa ha fatto un ragionamento di protesta che condivido. Se nel contenuto della medicina c’è scritto che è controindicata in stato di gravidanza, allora è fondamentale produrre un test di gravidanza. Tra l’altro farlo con lo stick che compri in farmacia non è utile per accertare la gravidanza preesistente. 

 

C’è però chi si lamenta che la procedura per avere la ricetta medica sia lunga e porterà le donne ad acquistarlo illegalmente su Internet. 

 

Quello che l’Aifa è riuscita a fare è imporre una scelta è di garanzia per la salute. E’ vero: non è semplice ottenere il farmaco, ma cosa vogliamo? Che le ragazzine ricorrano alla pillola dei cinque giorni dopo come già accade con la pillola del giorno dopo spesso in maniera sconsiderata, ripetuta e senza sufficienti analisi, senza prescrizione medica come avviene in altri Paesi d’Europa?

 

Dunque è una garanzia di sicurezza quella che è stata imposta.

 

In Italia ci sono maggiori garanzie soprattutto per le giovani donne e le giovanissime. E’ chiaro ci sarà sempre chi cerca la deregulation, ma ogni volta che accettiamo meno regole sul piano sanitario stiamo attenti che non significhi meno garanzie. In genere è così.

 

Sarebbe dunque necessario con la messa in vendita di questa pillola una opportuna campagna di informazione presso le giovani.

C’è un task force al ministero fatta dai Nas che si occupa della vendita su Internet. E’ un problema che sta crescendo sempre di più, è un problema complessivo non solo sull’aborto e che quindi va affrontato. Poi non è certo una soluzione dire: siccome io vado a rifornirmi in modo illegale allora rendo una cosa legale. Una valutazione su un farmaco si fa sul rischio e sugli effetti, non solo se lo rendo più facile da comprare. E’ qualcosa che succede anche con il viagra: è regolarmente in vendita nelle farmacie e poi la gente si rifornisce illegalmente. Questo perché c’è una serie di fattori come il desiderio di segretezza, di non farlo sapere al medico o ai familiari. 

 

Un controllo necessario da parte medica invece ci vuole.

 

Insomma: siccome le ragazzine si riforniscono su Internet aboliamo la ricetta medica? Voglio ricordare che quando fu introdotta la pillola del giorno dopo non esisteva l’Aifa, ma era competente il ministero della Salute. L’allora ministro Veronesi, persona che è sempre stata favorevole a qualunque tipo di concessione, volle mettere la ricetta non ripetibile. Ci sarà stato un motivo o no?

 

Garanzie sanitarie, ovviamente.

 

Certo, sono garanzie squisitamente sanitarie oltre che sociali. Lo vediamo all’estero. Ci si è illusi che la facilità di accesso ai farmaci contraccettivi o abortivi potesse essere un freno e una prevenzione all’aborto, ma non è così. In Inghilterra, Francia e Svezia, dove c’è una attenzione spasmodica di accesso alla educazione sessuale e alla contraccezione nelle scuole di tutti i livelli, abbiamo il maggior caso di aborti tra i minori. L’Italia invece insieme alla Germania è ai livelli più bassi.

 

Ci sarà un motivo. 

 

E’ un approccio sbagliato quello di facilitare questo tipo di farmaci detti di prevenzione. Dati alla mano si è dimostrata una politica sbagliata. Noi in Italia cerchiamo invece per quanto possiamo, visto che nel caso della nuova pillola ci è stato imposto, di tenere alto il livello di garanzie sia sanitarie sia di preoccupazione sociale. Si tratta di scegliere delle politiche precise. Abbiamo visto in certi Paesi europei che invece quelle politiche ottengono l’effetto opposto.