Sono un telespettatore distratto. Non è che sia un maniaco dello zapping (parola che sembra appartenere a un’altra era geologica) però mi è difficile prestare a un programma tv la dovuta attenzione. Non so come facciano i critici televisivi a prendere così sul serio spettacoli come Quelli che il calcio o Che tempo che fa, il Chiambretti show o Le invasioni barbariche. Si guardano, naturalmente, ma sempre in alternativa a qualcos’altro che, quando c’è, è meglio.
A me piace Le Iene, ma neanche per quello faccio le pazzie. Sono passati tanti anni dal film di Tarantino, perciò quasi nessuno si ricorda a cosa si ispiri il titolo del programma. Comunque sia, i servizi de Le iene sono spesso interessanti, fino a trasmettere, a volte, il brivido del Vero Giornalismo, che in altre sedi latita un po’.
Qui ci sono vere inchieste a rischio malmenamento capaci di smascherare truffe, furti, inadempienze, sprechi pubblici e così via.
Anche qui, però, c’è qualcosa che non mi piace fino in fondo, una tendenza a farla facile, a mettersi a priori e senza discussione dalla parte dell’Italia buona, che lavora e paga le tasse, onesta fino al martirio.
L’altra sera, per esempio, un’inchiesta mi cattura. Una iena bionda e di sesso femminile ha individuato un classico truffatore grazie a una complice del truffa, che lo ha segnalato alla trasmissione. La iena parte, lancia in resta, ma quando si trova a tu per tu col mascalzone scopre, con sorpresa, che la ragazza che lo aveva denunciato continua a lavorare per lui.
La iena si aspettava un po’ di coerenza, si sente offesa: ma come, dopo un atto di coraggio come la denuncia osi ancora lavorare per lui? La iena incontra la ragazza, che ammette la propria incoerenza. Ora però ha deciso di lasciarlo.
La iena le chiede quanto prende. Otto euro all’ora, risponde la ragazza. E se anziché otto te ne desse cento? Incalza la iena. E la ragazza: accetterei. La iena è allibita, spiega alla ragazza che i soldi che prende sono soldi di gente raggirata, truffata. La ragazza (che ha un accento straniero) risponde che una volta via di lì non sa dove sbattere la testa: è povera, straniera e non ha un soldo. Ma alla iena questi argomenti non interessano: è una questione di scelte: o ti metti decisamente contro questo genere di cose, o stai dalla loro parte. Pensaci.
La morale della storia è tratta dalla iena stessa. Ci sono gli onesti e i disonesti, occorre scegliere da che parte vogliamo stare.
Sarebbe bello se le cose stessero così, vero? Tutte le volte, però, che io sento questi discorsi avverto uno strano odore di deportazione morale e intellettuale. Predicare l’onestà senza farci carico della sorte di quelli a cui predichiamo è facile e crudele. Il bene, invece, è difficile: dire a qualcunocosì non si fa vuol dire aiutarlo – con i fatti, non con le parole – affinché possa davvero non farlo più.
Dubito che la iena abbia aiutato la ragazza a trovarsi un altro lavoro. Dubito che ci abbia anche solo pensato. Ma anche se avesse pensato e fatto tutto questo, la trasmissione non ne reca traccia alcuna, e sapete perché? Perché questo non è previsto dal format.
Già vent’anni fa Leonardo Sciascia parlava dei “moralisti di nessuna morale”. Oggi rischiamo di diventare tutti così: ce lo impone il format.
Ma a essere così si corrono parecchi rischi. Senza qualche punto fermo riconosciuto come oggettivo – non solo regole convenute, dunque – il rischio di scivolare dai buoni ai cattivi è continuo per tutti. La iena che ha redarguito la ragazza perché accetterebbe cento euro all’ora da un truffatore potrebbe sentirsi dire:
«Lei per un milione di euro tradirebbe l’uomo che ama una decina di volte, con dieci uomini diversi?».
E qui, se preferisse essere una zoccola piuttosto che una cretina, nessuno la biasimerebbe: tutti preferiamo evitare l’iscrizione al registro degli imbecilli. Resta la prostituzione, che senza una vera morale (che è quella cosa che ci permette di realizzare pienamente la nostra umanità, rendendo la nostra vita utile al mondo: lasciamo perdere perciò la morale della legalità, ci vuole molto di più) diventa la regola generale: c’è chi si prostituisce per la causa dei “buoni” e chi per quella dei “cattivi”.
Fino al momento in cui i buoni diventano cattivi e i cattivi buoni.