Chi sta in carcere è sempre un malfattore? E’ invalso in parte del pensiero comune l’idea che, prevalentemente, sia così. Del resto, buon senso vorrebbe che la galera fosse prevista per chi ha commesso un reato. Per chi lo ha compiuto effettivamente. Una serie di circostanze, tuttavia, ha contribuito a distorcere la maniera corretta di intendere i rapporti tra colpevolezza e carcerazione. Esiste, infatti, in Italia, l’istituto della custodia cautelare. Che si applica, o si dovrebbe applicare, solo ed esclusivamente in certi casi non sempre appurati; a questo si deve sommare il fatto che, ormai da tempo, il principio della presunzione d’innocenza è stato demolito da decenni di stampa scandalistica e da operazioni di marketing giudiziario. Di norma, è sufficiente essere indagati per essere ritenuti colpevoli. Peccato che la sintesi di tali elementi determini, rispetto a qualunque tradizione culturale e giuridica occidentale, una grave anomalia. Di tutto questo, ne abbiamo parlato con Gaetano Pecorella.
In cosa consiste la carcerazione preventiva?
E’ una misura che viene adottata prima di una sentenza definitiva che è – o dovrebbe – essere determinata da alcune esigenze che sono collegate al processo.
Quali?
L’esigenza di salvaguardare le prove, l’esigenza di evitare la fuga e l’esigenza di impedire al soggetto di reiterare o compiere gravi reati.
Nella pratica comune, cosa avviene?
Quella sin qui enunciata è la teoria. Di fatto, la custodia cautelare viene spesso usata semplicemente al fine di determinare pressioni psicologiche nell’imputato tali da farlo collaborare con la giustizia. In Italia è largamente usata, ben più che in altri Paesi.
Cosa avviene negli altri Paesi?
Ci sono altri strumenti a cui si fa preferibilmente ricorso, come la cauzione.
Ci sono reati specifici per i quali si prevede la custodia cautelare?
Di per sé, non è collegata ad alcuna tipologia di reati, anche se ce ne sono alcuni per i quali appare più ragionevole. Mi riferisco, ad esempio, ai reati associativi, dove la possibilità di ottenere aiuti dall’associazione restando in libertà è più elevata; oppure, ai reati di violenza, che comportano un pericolo per la pubblica incolumità.
Chi decide se applicarla o meno?
La decisione spetta al giudice; vi è, successivamente, il Tribunale del riesame al quale si può ricorrere. E, infine, la Cassazione.
Com’è possibile che, in punta di diritto, gli abusi possano verificarsi?
E’ una misura legata ad alcuni presupposti la cui valutazione è lasciata alla discrezionalità del giudice che ha facoltà, quindi, di ritenere il soggetto più o meno pericoloso.
Trova che la disciplina in materia andrebbe riformata?
Sì. Occorrerebbe prevedere una procedura diversa, che comporti un arresto provvisorio e una vera e propria udienza – come avviene negli Stati Uniti – dove vengono discusse le prove e, al limite, ascoltati i testimoni.
Chi ha subito una custodia cautelare ingiusta ha modo di ottenere un risarcimento?
L’ingiusta detenzione dà luogo a risarcimento, tant’è vero che questa voce rappresenta un costo estremamente alto per lo Stato, sul quale gravano numerose condanne della Corte dei diritti dell’uomo.
Trova che abusi di questo genere inficino il principio della presunzione d’innocenza?
Tale principio, in effetti, dovrebbe comportare che nessuno, fino a quando non se ne è accertata la colpevolezza, possa essere privato della libertà. Ovviamente, ci sono situazioni in cui non è possibile lasciare una persona pericolosa per la collettività in libertà. Sarebbe necessario, quindi, operare in due direzioni: riducendo il principio esclusivamente in quei casi in cui la custodia cautelare è strettamente necessaria; e, relativamente a questi casi, differenziare fortemente la condizione carceraria per i condannati con sentenza definitiva.
In ogni caso, si è innocenti fino a prova contraria, fino a quando non c’è una sentenza passata in giudicato. In Italia è così?
Spesso, nel nostro Paese, la stampa e i mass media indicano come colpevoli persone che non sono state neppure soggette alla prima fase del processo. Di conseguenza, l’opinione pubblica, tende a vedere nell’imputato un colpevole.
Come valuta questo orientamento?
E’ gravissimo. Si finisce per condizionare la libertà del giudice che, in qualche modo, si sente esposto alle reazioni dell’opinione pubblica. Ci sono soggetti che vanno a giudizio già pregiudicati da una sorta di condanna collettiva.
(Paolo Nessi)