Accanto alle tradizionali celebrazioni per la Festa della Liberazione questo 25 aprile vedrà svolgersi a Roma la seconda edizione della marcia per l’Amnistia, la Giustizia e la Libertà. «Credo che la data scelta sia molto opportuna – spiega il Senatore Luigi Manconi a IlSussidiario.net –. E voglio spiegarne i motivi attraverso un esempio: nel Dopoguerra un numero speciale della rivista Il Ponte venne interamente dedicato al tema del carcere. Giuristi, studiosi ed esponenti politici che avevano vissuto sulla propria pelle l’esperienza della carcerazione durante il periodo fascista svilupparono un dibattito elevatissimo arrivando ad alcune conclusioni interessanti: una soglia massima di detenzione molto bassa, intorno ai 22 anni, il rifiuto dell’ergastolo e il ripensamento della pena, in modo da favorire la risocializzazione. D’altronde era un periodo fertile, di grande fantasia giuridica e di elaborazione costituzionalistica. Si poteva immaginare il meglio, non il peggio come così frequentemente si fa oggi».
La situazione del nostro sistema carcerario è drammatica, lei da dove inizierebbe?
Il primo passo è senza alcun dubbio l’amnistia. Come sanno tutti coloro che si occupano del problema, questa non è la soluzione, ma la sua inevitabile premessa. È un provvedimento d’eccezione per una condizione d’eccezione. Senza un minimo di normalità sono infatti impossibili riforme di struttura.
E in cosa consisterebbe?
Nell’abbattimento dell’accumulo di cause pendenti che oggi produce milioni di fascicoli e determina una prescrizione silenziosa, una sorta di amnistia illegale. Chi se lo può permettere, infatti, riesce a differire le procedure, a protrarre tempi finché non finiscono in prescrizione.
Si tratta quindi di fermare la prescrizione taciuta, ma operante, e di andare verso un’amnistia dichiarata e ragionevole.
Facendo un secondo passo, a suo avviso come si può limitare l’uso smodato della carcerazione preventiva?
Credo che sia un record mondiale dell’Italia, ovviamente negativo. Il 42% della popolazione detenuta è infatti costituito da persone in attesa di giudizio definitivo. Non solo, la metà di queste risulterà poi assolta al termine dell’iter. Si tratta quindi di una condizione scandalosa, figlia di tanti fattori, a cominciare dalla lentezza dei procedimenti.
Per quale ragione?
Mettendo in conto che le persone indagate arriveranno a processo dopo molti anni, sempre che questo accada, la prospettiva di far scontare una sorta di pena preventiva diventa insinuante e seducente, a prescindere dal fatto che essa sia meritata o meno. Una distorsione molto pericolosa.
Se poi, com’è accaduto ieri sul Corriere, di una persona sottoposta a carcerazione preventiva vengono pubblicate in tempo reale anche le lettere private…
Il cortocircuito è compiuto. Una lettera in cui non c’è nulla di rilevante sotto il profilo giudiziario dovrebbe essere considerata proprietà sacra e inviolabile di chi l’ha scritta e chi la riceve.
Tornando alle carceri, secondo lei e gli altri promotori di questa manifestazione, il problema comunque non si risolve costruendo nuovi istituti?
La strada maestra indicata dalle commissioni di riforma del codice penale è quella della depenalizzazione e della decarcerizzazione. Ovvero, ridurre il numero delle azioni e dei comportamenti considerati reati e ridurre il numero dei reati sanzionati con la detenzione in cella.
Purtroppo però si è andati nella direzione opposta. Se si introduce, ad esempio, il reato di clandestinità, significa che si sta panpenalizzando e affollando le carceri come se il migrante fosse uguale al narcotrafficante.
Da ultimo, quante speranze che in questa stagione tecnica si possa arrivare a una riforma condivisa?
Poche, purtroppo. L’attuale ministro aveva idee chiare, una forza intellettuale come pochi in passato e il vantaggio di non dover rispondere al consenso popolare. Eppure non gli hanno consentito di fare quello che aveva in animo.
A chi si riferisce?
Ai tre partiti che appoggiano il governo: Pd, Pdl e Udc…
(Carlo Melato)