Gli ordinamenti democratici, tanto magnificati nelle culture occidentali, hanno nella libertà il proprio contenuto principale. Se fosse altrimenti, rappresenterebbero mere forme di governo, non necessariamente  preferibili ad altre. Si capisce perché privare un uomo della libertà rappresenta uno tra i torti maggiori che gli si possa fare e perché, di conseguenza, le sue limitazioni dovrebbero essere previste quando, effettivamente, tutto il resto ha fallito.  Abbiamo parlato delle storture presenti nell’istituto della custodia cautelare in Italia con Franco Coppi, avvocato di Raniero Busco; il quale, dopo cinque anni d’attesa (fu indagato nel gennaio del 2007), una sentenza di colpevolezza e la condanna a 24 anni di reclusione, ha visto ribaltare il precedente verdetto dalla corte d’Assise d’appello di Roma, che lo ha assolto con formula piena. Non è lui l’assassino di Simonetta Cesaroni, massacrata il 7 agosto del 1990 con 29 coltellate in via Poma, a Roma.



Avvocato, crede che i presupposti necessari per emettere un provvedimento di custodia cautelare siano sempre rispettati?

Non è un caso che spesso, il Tribunale del Riesame o la Cassazione annullino misure di custodia cautelare disposte in precedenza.  Non di rado tali misure sono applicate laddove non ci sarebbe alcun bisogno della privazione della libertà personale. Può capitare che si sollevi l’ipotesi di reiterazione di reati analoghi a quelli contestati quando, in realtà, non ne sussistono i motivi; oppure, che il provvedimento sia emanato a distanza di troppo tempo dal reato contestato per poter sostenere il rischio di inquinamento delle prove. Diciamo che nei confronti di provvedimenti di questo genere occorrerebbe maggiore prudenza.  



Quando, invece, è doveroso applicarla?

Oltre al rischio di reiterazione del reato, di inquinamento delle prove e di fuga, ci sono reati rispetto ai quali le esigenze cautelari si impongono da sole, come nel caso di accusa di associazione a delinquere. E’ necessario, inoltre, che ricorrano, ad esempio, degli indici di colpevolezza, ovvero che il magistrato abbia raccolto degli elementi che suggeriscano la probabile colpevolezza dell’indagato.

Crede, in ogni caso, che andrebbe implementato l’utilizzo di altri strumenti quali gli arresti domiciliari o l’obbligo di presentazione?

Dubito che le mezze misure possano realmente servire a qualcosa. Non credo, ad esempio, che essere obbligati a presentarsi di fronte ad un commissariato, di tanto in tanto, annulli il pericolo di reiterazione del reato. Piuttosto, sarebbe necessario apportare una serie di modifiche al sistema.



Quali?

Il provvedimento cautelare dovrebbe essere adottato e servire nell’immediatezza delle indagini; e, in quel caso, le indagini dovrebbero essere privilegiate rispetto a qualsiasi altro tipo di procedimento, in tempi brevissimi. Sarebbe necessario, oltretutto, ridurre in tempi  della custodia stessa, per obbligare il magistrato a compiere gli accertamenti nel più breve tempo possibile.

Si obietterà che mancano le risorse.

Dobbiamo partire da due presupposti: la libertà personale è il bene di maggior interesse per ciascun individuo;  inoltre, la Costituzione riconosce la presunzione di non colpevolezza dell’imputato. Allora, reclamare indagini rapide e riduzione dei termini di custodia cautelare, sono indirizzi che andrebbero perseguiti con molta convinzione. D’altro canto, la presunzione di innocenza fa sì che l’indagato, se non si riesce a celebrare il processo in certi termini, abbia il diritto ad essere processato mentre si trova in Stato di libertà. Qualunque sia il reato contestato.

Trova che il principio della presunzione di innocenza sia noto all’opinione pubblica italiana?

Il molti processi a cui ho partecipato, vedendone la rappresentazione in tv, mi è capitato di chiedermi se non avessi preso parte ad un altro processo. L’opinione pubblica, salvo casi eccezionali, è portata immediatamente a ritenere che chi è stato raggiunto da un provvedimento di custodia cautelare sia colpevole. Vale il ragionamento: “se è in galera, qualcosa deve aver fatto”.

Qual è stato l’atteggiamento nei confronti di Busco da parte dell’opinione pubblica

Devo dire che l’opinione pubblica, come gran parte dei mezzi di comunicazione, non avevano ritenuto persuasiva la prima sentenza, che aveva ricevuto più critiche che opinioni. C’era un’aspettativa di riforma. Del resto, probabilmente, l’idea che Busco potesse avere commesso un delitto nei confronti di una persona con la quale aveva una relazione da diverso tempo per motivi di natura sessuale, è apparsa poco convincente. 

 

 

(Ottaviano Grandiài)