Tre anni, oltre mille giorni da quell’ormai lontano 6 aprile 2009. Ma il terremoto dell’Aquila è rimasto dentro a tutti, all’intero Abruzzo. Ieri è stata una giornata di silenzio e di lutto all’Aquila, dopo una notte trascorsa in lenta e silenziosa processione, fatta di fiaccole, luci tremolanti ad illuminare quella notte che tre anni prima era stata squartata da un boato portatore di morte. Una giornata di silenzio che ha coinciso con il Venerdì Santo, venerdì di Passione, fatta più di adesione che di commozione.



Una lunga fiaccolata, fatta di diecimila persone che portano dentro una grande sofferenza. Ma molti ricordano il passato riuscendo a guardare al futuro. Un futuro che vede i giovani cardine di un agire vivace e capace di offrire prospettive diverse, nuove. Prospettive di vita.  «Il punto è che l’unico modo che abbiamo a disposizione, nel volere la ricostruzione, è di non guardare alla realtà solo in maniera negativa», ci ha raccontato Stefano Calvano, tre anni fa rappresentante degli studenti all’Università dell’Aquila e ancora oggi con lo sguardo rivolto alle esigenze di chi ha deciso di voler studiare, di volersi laureare in una città terremotata, che porta in evidenza i segni e le ferite di questo terremoto.



«Guardare alla realtà solo in maniera negativa ti penalizza – ha aggiunto Stefano – se pensi al futuro pensi di dover ricostruire. Sei chiamato a rimetterti in gioco. Sotto ogni aspetto. E ti metti a pensare che le cose non bisogna farle a caso. Se rimani solo a pensare allora aspetti che qualcuno si metta a ricostruire tutto come era e dove era. La nostra sfida è diversa: vuol dire metterci del proprio» La persona diventa artefice della propria vita, ma anche di quella degli altri. Collabora, aiuta, propone.

Tre anni fa, in queste ore si piangeva la perdita di molti studenti universitari, rimasti uccisi dalle macerie, rimasti sotto le macerie. A cominciare da quelli che vivevano sotto la casa dello studente. Il 6 aprile non è e non deve essere retorica. Ecco quindi che risuonano le parole di Benedetto XVI . Stefano era lì, con il Papa, davanti alla Casa dello Studente. «Mi chiese . racconta ancora –  se l’Università non si era fermata, se avevano ricominciato subito. Ecco, ci ha richiamato subito alla quotidianità, che doveva ripartire subito, che doveva avere un luogo che fosse di incontro». E oggi a tre anni che valore hanno le parole di Benedetto XVI?  Sono ancora attuali o fanno parte dei ricordi di tre anni fa? «Quelle parole hanno un’importanza vitale anche oggi – dice Stefano cercando di far capire cosa è cambiato in questi mille giorni – l’Università è valore, l’università è un luogo che deve essere familiare. E’ un luogo familiare. È il posto dove incontri un gruppo di amici che ti permette di ricominciare tutto.



Stefano poche ore dopo il silenzio in cui risuonavano i suoi passi nella fiaccolata dell’Aquila risente ancora i suoi passi, nel silenzio di una Via Crucis per quella strada di Manoppello che ti porta davanti al Volto Santo, dentro il Santuario. Dietro le finestre lo sguardo di anziane donne che pregano, donne anziane come quelle che avevano la possibilità di guardare passare le fiaccole che nella notte procedevano verso Piazza Duomo. Unite dalla preghiera, unite nella preghiera. Nel silenzio ci sono le domande e le speranze di ogni uomo. «Oggi nella Via Crucis – sottolinea Stefano – stanotte nella fiaccolata, c’è tutto il dramma dell’uomo di fronte a un senso che non capisce. E questo accomuna tutti gli uomini. Il dramma di chiedere un senso al proprio destino. La fiaccolata, la Via Crucis sono i simboli di tutte le ipotesi di una strada, ben definita, che dà un senso alla nostra vita». La quotidianità, quel luogo “amico”, fatto di persone che aiutano giorno dopo giorno a spendersi nella ricostruzione. Rimettere insieme i pezzi e le macerie, non solo delle cose materiali ma anche del cuore.

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