Strada provinciale, che da Monza collega l’Alta Brianza. Una mattina piovosa come tante, a inizio novembre. Marco, uno studente di 17 anni, si sta recando con la sua moto a scuola, a Carate. Nei pressi di un semaforo si trova davanti un’automobile che sta uscendo, dalla destra, dal parcheggio di un negozio di arredamenti. Il ragazzo cerca di frenare, forse colpa dell’asfalto bagnato, non ce la fa e lo schianto è inevitabile. L’impatto è mortale, Marco non sopravvive. “Il corpo di Marco” dice Paola, la mamma “che era una potenza di vita, è stato così spezzato per un urto: non aveva un graffio, non un’escoriazione, neppure il suo zainetto o il suo casco, non una goccia di sangue versato, ma il suo collo invisibilmente spezzato”. Invisibilmente. E’ la parola chiave di una vicenda straordinaria, pur nel dolore immenso che essa contiene. “Come si dice madre senza figlio? Padre privato del figlio?… è indicibile” dice ancora Paola.
Indicibile è la seconda parola chiave di questa storia. Sì, è indicibile definire due genitori che perdono un figlio. Eppure nella morte di un ragazzo di soli 17 anni, nel pieno del vigore fisico e dell’entusiasmo per la vita, la vita rinasce, in modo “invisibile” e “indicibile”. Chi scrive queste righe non ha mai conosciuto Marco Gallo di persona, conosce solo i suoi genitori. Ma dalla sua morte, è come se lo conoscessi da sempre. Sta accadendo così per molte altre persone. I suoi scritti, i suoi pensieri, alcuni dei quali letti solo grazie al padre e alla madre, custoditi come è giusto in questi casi gelosamente, spalancano a una amicizia che va al di là della vita e della morte, perché le contiene. Marco comunica, sta comunicando oggi più che mai a tutti quelli che si imbattono in lui. Accade così che è possibile diventare amici di qualcuno che in vita non si è mai conosciuto. D’altro canto è anche quello che aveva scritto lo stesso Marco in una sua bellissima lettera: era andato alla beatificazione di Giovanni Paolo II senza averlo ovviamente mai incontrato di persona. Da quel giorno invece “è come se fosse nato in me un prepotente desiderio di conoscerlo (…) È come se, finalmente, qualcuno mi abbia capito. Una comprensione che va oltre quella degli amici e delle persone che ho incontrato. Come se tutto il segreto della vita fosse racchiuso qui, in queste parole (spalancate le porte a Cristo)”.
Ci sono segni evidenti, ci sono cose che accadono: “Stanno succedendo cose dell’altro mondo; perlomeno molto strane se uno proprio vuole continuare a pensare solo alle casualità” dice la madre. Pensando alla storia di Marco queste appaiono evidenti in un modo che sembra anche inquietante, tanto spacca le barriere della realtà come siamo abituati a considerarla. E’ davvero la resurrezione, ma una Resurrezione cominciata ancora prima della morte stessa. La sera prima di morire, Marco aveva scritto a penna sul muro della sua camera da letto. Era rimasto colpito, segnato, dalla morte avvenuta la notte prima di Giovanni, studente universitario, amico di un suo carissimo amico, anche lui in un incidente di motocicletta. Marco aveva scritto: “Perché cercate tra i morto colui che è vivo?”. Quella scritta è ancora lì, nella camera di Marco, a casa sua. Dice tutto. In modo invisibile e indicibile. In modo inaudito, per la nostra superficialità quotidiana di uomini e donne smarriti nella dimenticanza, privati del senso del Mistero. C’è di più, molto di più, invece. C’è il Mistero che accade. Pochi lo sanno percepire. Marco era sicuramente uno di questi privilegiati.
A rileggere oggi infatti alcuni scritti che Marco ha lasciato vengono i brividi. Difficilmente un uomo maturo potrebbe avere la stessa coscienza di fede che aveva questo ragazzo di 17 anni. Una coscienza della fede che nasceva da un desiderio irresistibile e implacabile di capire il significato del destino. Certo, Marco era cresciuto in una bella famiglia che aveva allevato e custodito questo desiderio. In una bella scuola circondato di ragazzi e professori che sostenevano questo desiderio. Ma Marco viaggiava molto più avanti di tutti gli altri, e forse per questo la sua corsa è finita – apparentemente – quella mattina di novembre sulla strada bagnata di pioggia. Il suo viaggio si era compiuto quando aveva scritto quella frase sul muro della cameretta; perché cercate tra i morti colui che è vivo?
Una volta Marco, a 16 anni, aveva scritto: “Il desiderio (…) non pensai mai di dirlo, ma il desiderio in sé è inutile. Avevo grande desiderio di felicità eppure passavo le giornate con lui accanto. Non è lui il protagonistanon la sua sola presenza causerà un’esistenza piena. Perché non la sera, né il mattino deciderò come adempirlo. Non saranno i programmi mattutini, né la “riorganizzazione serale”. Entrambi servono, ma a niente da soli. È nell’istante in cui esso è suscitato, nell’istante in cui la sua presenza introduttiva si fa avanti, allora noi dobbiamo seguirlo con la nostra libertà: dobbiamo farlo atto, azione, gesto, talvolta rischio, dobbiamo farlo carne”. Una consapevolezza, quella espressa in queste righe, che schianta chi le legge. Poi scriveva: “E allora giungerà una risposta. ma dove cercarla? Come un bambino segue l’aquilone, e come il giorno dopo, vuole rifarlo. Dobbiamo andare nei luoghi, ma soprattutto, dalle persone, che per un solo istante sono state sua risposta. Proprio come un poveretto va a chiedere i soldi: si, è umiliante, ma che altro fare? Suicidarsi o convertirsi? Ovvero Uccidere il desiderio o rivolger nel suo verso la nostra libertà? Qui si tratta di moralità, ragazzi, si tratta di una posizione corretta, ma che attraversa la consapevolezza che merita di essere fatto, insomma si tratta di una naturale e propensa tensione verso qualcosa di bello. Non è moralismo, è qui voglio chiarirlo: il moralismo cristiano è ritenere che la grazia viene dopo un’adeguata preparazione morale, ma non è così, perché l’uomo è fallace, è la grazia che da la forza: – e quindi, cosa si spera di ottenere? “io sono amato, amici, e QUINDI faccio tutto.”Forse questo, essere amati.. e in tutte le circostanze tendere a una risposta.. forse si.. “in tutto”.
In un’altra occasione, pensando alla canzone di Claudio Chieffo Io non sono degno, aveva commentato: “MI sono commosso perché Claudio Chieffo ha comunicato in una canzone che cosa è la vita. Io non faccio altro che distrarmi, non fare i miei doveri, sputare sulla vita non gustandomela, bestemmiare la vita facendomi complessi perdendo tempo. Non lo dico con piacere, ma con forte dolore: io non valgo nulla. Ma il motivo per cui la mia vita ha senso è perché ci sei te, l’ho capito. Noi non ti meritiamo, non meritiamo una goccia del sangue di te E invece TU ci sei, e mi ridesti ogni attimo, senza che io me ne accorga, tu mi dai bellezza, le persone, le risposte, tu mi abbracci e ti dico grazie, un grazie inconsapevole del tuo infinito amore, del valore che mi dai (…). La commozione è consapevolezza del nostro nulla e in contemporanea della tua risposta, perché senza risposta sarebbe solo Dolore”.
La storia di Marco è la storia piena di fatti, segni, coincidenze che non sono coincidenze, sono accadimenti che se messi insieme danno la mappa di un puzzle che messo faticosamente insieme dà un percorso. Una volta era partito in motocicletta dalla Liguria, terra dei suoi genitori, in motocicletta per arrivare a casa a Monza. Si era studiato tutto il percorso sulle cartine, senza passare dall’autostrada ovviamente perché era minorenne, poi da qualche parte, forse vicino a Brescia, si era perso e aveva chiamato il padre perché venisse a recuperarlo. Con entusiasmo e giovanile baldanza si era buttato in quella e cento altre avventure, alla ricerca della strada di casa, anzi della Casa. Con stupore di tutti, una decina di giorni dopo la sua morte, è addirittura il Cardinale di Milano Angelo Scola a ricordare Marco: lo fa citando una sua lettera mentre tiene la meditazione in Duomo sull’esperienza dell’amore al termine del ciclo di esercizi Spirituali d’Avvento. Il Mistero della esistenza umana. La Resurrezione che si manifesta. E’ la storia di un dolore che può essere accolto, questa. Come dice ancora Paola, “Io capisco sempre meno, capisco che la misura del Mistero non è la mia e mi chiede tutto, e mi continuerà a chiedere tutto; percepisco però che questo Mistero mi abbraccia e in questo abbraccio io non sono persa, io posso viverci”. Non cercate tra i morti colui che è vivo. Marco è più vivo che mai.
(Paolo Vites)