Si sapeva benissimo che, prima o poi, l’esacerbazione del tessuto sociale avrebbe raggiunto il culmine; per mesi rinunce e sofferenze lo hanno reso, di giorno in giorno, sempre più consunto. Fino a quando non si è visto lo strappo. E qualcuno ha sparato. Stesse modalità, stesso schema mentale spietato e vigliacco di un’epoca che pensavano di esserci lasciati alle spalle. E’ solo una tetra suggestione o il terrorismo è tornato? Cosa rappresenta la gambizzazione dell’Ad di Ansaldo Nucleare, Roberto Adinolfi, cui i Gap (Gruppi armati proletari), su Indymedia, hanno plaudito? Nessuno crede che si tratti di un caso isolato o di due balordi in moto che hanno agito per ragioni personali. Il fatto che nessuno lo creda, la dice lunga sul clima in cui stiamo vivendo. Il commento di Salvatore Sechi.



Secondo lei la situazione è preoccupante?

Dal punto di vista dei legami che il terrorismo stabilisce con le situazioni di disagio e sofferenza della gente, questo è un momento tragico.

Ovvero?

Nessun governo ha mai colpito con tanta durezza le condizioni del ceto medio e lavoratore. Per carità: solo Monti dispone del rigore, della serietà e dell’autorevolezza per gestire la situazione. Ma la giustificazione secondo cui le misure di austerità sono necessarie per salvarci dall’orlo del baratro è valida solamente se si fa presente che i baratri sono due.



Quali?

Da un lato, c’era il rischio di sprofondare sotto il peso della crisi internazionale; ma dall’altro, quello che la coesione sociale salti. Accanto al rigore, quindi, il governo dovrebbe far comprendere che i sacrifici richiesti hanno lo scopo di farci uscire al più preso da un tunnel che, oltretutto, potrebbe non essere così lungo.

Sul ciglio del primo baratro ci siamo ancora?

No, ma siamo sul ciglio del secondo. Viviamo in un momento storico in cui lo scoramento, la tristezza, e l’impoverimento hanno raggiunto livelli terrificanti. Il terrorismo, in condizioni di povertà, miseria e assenza di speranza, trova un ideale terreno di coltura ove innestarsi e alimentare rivalse e illusioni e individua facilmente una scusa per giustificare le proprie azioni.



Che colpe ha la politica precedente a Monti?

La responsabilità dei governi precedenti consiste nell’aver determinato i presupposti perché si rendesse necessario l’intervento di Monti. Non c’è qualcuno che ha avvelenato i pozzi più degli altri. La colpa è generalizzata.

Quali sono le differenze più evidenti rispetto al clima degli anni 70?

Negli Anni di piombo i partiti erano laboratori di idee, attorno ai quali gravitavano riviste, giornali, e che cercavano di aderire, in qualche misura, a tutte le pieghe della società italiana; oggi, invece, non sono in grado di rispondere alle esigenze più elementari dei cittadini. In una fase priva di partiti fortemente progettuali, riferimenti internazionali, o riflessioni culturali in grado di comprendere le ragioni della crisi, il sistema sociale risulta estremamente vulnerabile. Il problema, quindi, è che la domanda politica o viene raccolta e canalizzata o esplode. 

Rispetto al terrorismo degli Anni di piombo, invece, quali sono le principali discrepanze?

Non vedo, per il momento, associazioni terroristiche organizzate come macchine da guerra analogamente agli anni 70; né la stessa euforia ideologica che all’epoca diede ai fenomeni eversivi una grande spinta.

La cosiddetta morte delle ideologie può tutelarci dalla deflagrazione del fenomeno?

Diciamo che può arginare un terrorismo modificato e armato culturalmente. Ma non esclude il sorgere di nuove forme. Fondate, prevalentemente, sull’estremizzazione dell’idea secondo cui la disperazione è tale che non vi sia alternativa al farsi giustizia da sé. Il che, potrebbe rivelarsi ancor più pericoloso.

Perché?

Il terrorismo organizzato può essere più facilmente fronteggiato dagli apparati di repressione e di prevenzione dello Stato. Quello che, invece, nasce a livello di devastazione della psiche e a livello individuale è molto più difficilmente identificabile.  

Questi singoli potrebbero pur sempre organizzarsi.

Certo, prima o poi il senso di disagio trova sempre un ideologo in grado di formalizzare  i contenuti dei fautori della violenza.

Crede che, in tal senso, fenomeni come Beppe Grillo possano alimentare l’odio sociale o nei confronti delle istituzioni?

Grillo, in realtà, riflette sul disfacimento politico dei partiti e il consenso che ottiene dimostra come la gente sia alla ricerca di soluzioni. L’ostilità nei confronti delle istituzioni è anche, in parte, ragionevole; trovo del resto che sia, tutto sommato, una fortuna che Grillo stia istituzionalizzando la contestazione e che la indirizzi nei canali delle elezioni amministrative, adesso, e politiche, in futuro; così facendo, sta sottraendo il dissenso alla logica della lotta armata. 

 

(Paolo Nessi