Io non ho niente da rimproverare a Formigoni. Mi pare che non abbia compiuto reati e che addirittura non ci sia neppure un avviso di garanzia contro di lui (oggi un avviso di garanzia non si nega a nessuno…). E allora? Ci troviamo semplicemente di fronte a due fatti evidentissimi. Il primo – provato – è che si è aperta una campagna di stampa contro di lui. Guidata da un quotidiano, “Repubblica”, e da un grande gruppo finanziario, quello di De Benedetti, che da diversi anni usano il “sistema degli scandali” per condizionare e terremotare la politica italiana. Il secondo fatto – da provare – è che lo stile di vita personale di Roberto Formigoni non è stato quello che si addice, per esempio, a un francescano.



La lettera di Julian Carron sfiora il primo elemento e si concentra – direi – sul secondo. Evitando di citare Formigoni e allargando il discorso al rapporto tra militanza cristiana, impegno politico e stile di vita.
A me però il primo elemento non sembra secondario. Dico di più: nel mio ragionamento non posso prescinderne per una ragione molto semplice: ho sempre rivendicato la laicità della politica e non mi sembra ragionevole rivendicare questo valore e poi sospenderlo quando si tratta di giudicare il comportamento di un cattolico.



Mi spiego meglio: pretendo dai politici un atteggiamento laico di fronte ai problemi della politica, e dunque la non distinzione tra gli esponenti politici né su basi religiose, né su basi ideologiche. Mi pare che non abbia alcun senso cancellare questo principio e dire: un cattolico vero, un credente – un uomo di fede, come dice Carron – non può avere lo stesso stile di vita di un non credente. Non capisco la discriminazione al rovescio, non ammetto neppure questa.

Naturalmente però c’è una differenza abissale tra laicità e assenza di valori. Affermare i principi laici in politica non vuol dire negare l’esistenza e il peso dei valori che ciascuno di noi può scegliere liberamente o accettare da una dottrina religiosa o ideologica. E don Carron, nella sua lettera a Repubblica, pone esattamente questo: una questione di valori.



Più precisamente allude all’incompatibilità tra politica intesa come professione di fede – che naturalmente non vuol dire imposizione agli altri della propria fede ma, al contrario, testimonianza personale della fede – e situazioni come l’attaccamento e la ricerca della ricchezza, del lusso, dello sperpero e del potere.

Esiste questa incompatibilità? Non sta a me giudicare non dispongo né posso disporre dei valori di un credente. Posso solamente fare cenno a quelli che sono i miei valori, di non credente. E questi valori dicono che l’eccesso di ricchezza non è un male in sé, per motivi morali, ma è un male perché inevitabilmente provoca disparità, ingiustizia e povertà. È un male – diciamo così – per motivi sociali. La differenza tra la mia idea di “eccesso di ricchezza” e quella di un militante cattolico probabilmente è molto forte, ma converge nel giudizio. Sulla base di questa idea si configura un obbligo alla sobrietà?

Seconda domanda. Il fatto che in tutte le regioni d’Italia il mandato del governatore duri solo due mandati e che esclusivamente in Lombardia, per via di una legge voluta da Roberto Formigoni, possa durare all’infinito, e che su questa base lo stesso Formigoni sia ininterrottamente da 17 anni governatore della Lombardia è un fatto positivo? È un fatto secondario? Ha a che fare con un eccessivo attaccamento al potere? È dannoso per una corretta amministrazione della cosa pubblica?

Tendo a dare a queste domande una risposta non positiva per Roberto Formigoni. Punto. E penso che la risposta a queste domande ponga a tutti – non solo ai cattolici, ai cristiani – un problema di riforma della politica. E così o no? Non so se era la domanda di Julian Carron, non credo. Però mi interesserebbe moltissimo la risposta di Formigoni.