“Il successo dei grillini alle elezioni amministrative è il frutto della felice combinazione di due fattori. Da un lato il messaggio che funziona perché incontra preoccupazioni ed esigenze reali della gente e le interpreta. Dall’altra l’elemento caratterizzante rappresentato da un appello all’impegno diretto, in prima persona su problemi concreti”. E’ l’analisi di Guido Gili, professore di Sociologia all’Università del Molise. Forte del successo al primo turno, Beppe Grillo ha annunciato: “Liberi, sopra e avanti! Il 20 e 21 maggio si voterà per il ballottaggio: M5S si presenterà solo, non mercanteggia voti”.
Perché, a livello comunicativo, il movimento di Grillo ha avuto tanto successo?
Credo che occorra partire da un principio fondamentale della comunicazione. Per spiegare il successo di un “messaggio” bisogna sempre considerare le due facce di cui è composto: il contenuto e l’espressione. Nessun messaggio ha successo solo perché ha una forma espressiva e comunicativa indovinata, ma perché c’è un contenuto, che trova una forma “felice” per venire espresso. Quindi il problema fondamentale è il contenuto. In fondo il primo principio del marketing è che ci vuole un “buon” prodotto da vendere, un prodotto che funziona. In questo caso il “messaggio” funziona perché incontra indubbiamente preoccupazioni ed esigenze reali delle gente e le interpreta, possiamo discutere in qual modo, dando ad esse una forma espressiva.
Al di là delle singole idee e proposte, dove sta la vera forza del movimento?
Nell’aver chiamato le persone a un impegno in prima persona, nell’aver ricreato forme di mobilitazione che evidentemente non trovavano espressione in altre formazioni politiche, anche quelle più “antagonistiche”, a cui i grillini hanno mangiato consensi e voti, così come ai partiti più tradizionali di centro-destra e centro-sinistra. Direi che, in questo caso, l’elemento caratterizzante dell’adesione al movimento non è un orientamento politico-ideologico, né una semplice radicalizzazione della protesta, quanto un appello all’impegno diretto, in prima persona su problemi concreti, caso per caso, situazione per situazione. Che poi ci sia o meno una “visione” più ampia e strategica è un’altra questione su cui si può discutere.
I grillini hanno sviluppato un uso di internet e delle nuove tecnologie: possiamo parlare di marketing virale?
Io penso che di fronte al termine marketing – “virale” o no indica sempre una strategia di vendita – gli esponenti del movimento protesterebbero vivacemente. Al di là delle parole vorrei dire che Internet, la rete, rappresenta uno straordinario mezzo per tutte le forme di comunicazione basate sul passaparola e sulla comunicazione orizzontale. Quindi uno strumento molto potente in termini di mobilitazione e coinvolgimento. Teniamo anche conto che gli aderenti al movimento sono persone mediamente istruite e socializzate ai nuovi media, di cui conoscono e sanno valorizzare il potenziale comunicativo.
Fino a che punto quindi il web è stato decisivo nel determinare il risultato elettorale?
Le ricerche sulla comunicazione politica in America hanno mostrato fin dagli anni Quaranta e che non si dovrebbe mai dimenticare: nell’impegno e nella decisione politica ciò che conta in prima battuta sono i rapporti interpersonali, i rapporti di gruppo primario, non la persuasione di messaggi che provengono dai media. Si può dire che la rete costituisce per certi aspetti una nuova modalità di potenziamento e attualizzazione di quel principio fondamentale per cui le nostre “fedeltà” vanno innanzitutto al gruppo primario delle persone con cui siamo normalmente in relazione e che in questo modo, attraverso la rete, può allargarsi e potenziarsi.
Può esserci un parallelismo tra Berlusconi, personaggio televisivo, e Grillo personaggio di Internet?
Non sarei così sicuro nel definire Berlusconi “personaggio televisivo” e Grillo “personaggio di Internet”, a meno che con questo termine non si intenda che ognuno è l’interprete di una certa fase dell’evoluzione dei media nel nostro paese. Le televisioni di Berlusconi, proponendo certi modelli personali e di valore, hanno influenzato un certo clima culturale del nostro paese ed anche la politica molto più di quanto abbia fatto la personale abilità dell’imprenditore lombardo, creando un consenso politico intorno a lui. Va anche detto che Berlusconi, pur con tutti i suoi consulenti, non è stato esente da errori comunicativi anche in relazione ai diversi contesti in cui comunicava.
Qual è invece la fase di cui Grillo si è fatto interprete?
Grillo interpreta un periodo in cui vi è una crescente disaffezione e diffidenza verso i media più tradizionali, giornali e TV in testa. La rete, nell’uso che ne fa e per come ne parla, diventa una sorta di “mito” positivo contrapposto ai media tradizionali, visti come espressione dei vecchi poteri economici e politici. Questo spiega l’ostentato rifiuto a usare “direttamente” questi media per interventi e interviste. È un rifiuto non solo strumentale, ma soprattutto simbolico, in quanto espressione di relazioni politiche “verticali” che Grillo e il suo movimento apertamente e rumorosamente negano.
Da dove nasce la capacità di Grillo di acquisire sempre una risonanza eccezionale per le sue iniziative e prese di posizione?
Grillo, da uomo di comunicazione, sa benissimo che il sistema comunicativo è composto anche dai mass media, giornali e TV, e che questi hanno un potente effetto di cassa di risonanza delle sue dichiarazioni e prese di posizione. Per questo i discorsi e i gesti di Grillo presentano caratteri che li rendono, come si dice in termini tecnici, altamente “notiziabili” per i media. La dura polemica con Napolitano e le espressioni sferzanti usate nei confronti del Presidente sono un chiaro esempio (a questo proposito devo dire però che Napolitano, a mio avviso, ha sbagliato a rilasciare quella dichiarazione sul “boom” economico perché andava oltre la sua funzione istituzionale ed è parsa una delegittimazione di una parte consistente dell’elettorato che si è espressa in quel modo).
C’è un politico della Prima Repubblica cui può essere paragonato Grillo?
Direi anche che, prima di Grillo, un personaggio politico che ha mostrato un simile “fiuto” nel creare eventi comunicativi, a cui i media “abboccavano” puntualmente, è Pannella, più che Berlusconi. Il leader radicale, con una serie di slogan, parole forti e gesti eclatanti era capace di costringere i media a occuparsi di lui e delle sue battaglie. Il discorso di Berlusconi è completamente diverso perché, a differenza di Grillo e Pannella, fino a pochi mesi fa, deteneva una posizione di controllo diretto o indiretto sulle televisioni generaliste. Il che ovviamente definisce il discorso in termini non riconducibili semplicemente alla sua abilità mediatica.
I grillini sfruttano la poca dimestichezza dei politici con i nuovi mezzi di comunicazione e i social network?
Vorrei far notare che il “cuore” dell’azione comunicativa di Grillo e del movimento è il “comizio”, cioè il rapporto faccia a faccia, in presenza, a cui il comico genovese sa attribuire un carattere particolarmente coinvolgente ricorrendo in questo certamente al suo mestiere di comunicatore. Usando anche a un linguaggio eccessivo, provocatorio e volutamente offensivo (ma a questo anni di talk show televisivi non ci hanno perfettamente abituato?). Per questo la novità del movimento è la piazza più che Internet e la comunicazione in rete ne è il supporto e l’amplificazione, cioè la dimensione complementare.
Perché Grillo ha vietato ai suoi di partecipare ai dibattiti televisivi? Pensa che i suoi interlocutori televisivi e i giornalisti non siano all’altezza o teme che i suoi, intervenendo in tv, non siano all’altezza del mezzo televisivo?
Non so cosa pensi Grillo, ma posso immaginare la logica che sta alla base di un simile rifiuto. Innanzitutto alcuni esponenti del movimento, ad esempio i candidati in alcune città, si sono collegati in esterni, nel corso di talk show politici che commentavano i risultati del primo turno delle amministrative, ma non sono intervenuti in studio. Questo per marcare una distanza. La partecipazione in studio, accanto agli esponenti dei partiti diciamo tradizionali, implica l’accettazione di una “collocazione” che assimila gli esponenti del movimento ai politici di professione, riducendo nell’atto stesso di questa partecipazione la diversità e l’alterità del movimento che non vuole essere un partito e che sottolinea continuamente con forza la sua diversità (anche nella ribadita decisione di non “apparentarsi” al secondo turno).
Ma c’è anche un motivo più sostanziale e meno simbolico?
Chi capisce qualcosa di televisione sa che i talk show politici creano un ambiente relazionale in cui l’ospite non riesce a detenere il controllo della sua comunicazione che è usata solo come una performance teatrale dai conduttori e si dirige quasi sempre verso l’espressione delle opposte faziosità. Grillo, che è uomo di teatro, sa del pericolo di questa riduzione “teatrante” della politica e tiene i suoi alla larga. Più in generale, al di là delle strategie mediatiche di Grillo e del suo movimento, credo che la sua polemica con i media ponga un problema generale di grande importanza: il ruolo dei media come attori di una sfera pubblica in cui le persone possano formarsi ed esprimere una opinione personale sui fini e i mezzi del vivere associato e sui singoli problemi e temi di cui il vivere associato è costituito. Un ruolo che oggi i media troppo spesso non sono in grado di assolvere dignitosamente.