Una serie di esalazioni mefitiche sta tornando a impregnare il clima sociale; la crisi si è abbattuta sul Paese con violenza inaudita, mentre i suoi effetti perversi – disagio, povertà, miseria, assenza di speranza – stanno fornendo il terreno di coltura ideale ad innesti fatali. Per mesi, pacchi bomba o messaggi minatori sono stati indirizzati nelle sedi di Equitalia dislocate lungo la Penisola; contestualmente, gli organi d’informazione hanno iniziato a denunciare, giorno dopo giorno, casi di imprenditori che si tolgono la vita; poi, la gambizzazione del dirigente di Ansaldo, rivendicata dalla Federazione anarchica informale (Fai). Infine, il rinvenimento di cinque volantini targati Brigate Rosse nel milanese: quattro a Legnano (uno era sulla targa esterna dell’Agenzia delle Entrate, un altro fuori dall’Inps, altri due su una bacheca esterna e su un cancello dell’azienda di Franco Tosi, ex Ansaldo) e uno a Parabiago, vicino al centro polifunzionale per lo smistamento della posta. Cosa sta succedendo?



IlSussidiario.net lo ha chiesto ad Michele Brambilla, inviato de La Stampa. «Il clima – afferma Brambilla -, effettivamente, è preoccupante. Una serie di fattori e tensioni di varia natura lo aggravano. Alcuni non riescono a pagare le tasse, altri rimangono disoccupati o esodati, mentre una quantità impressionante di persone non riesce a trovare lavoro. E, poi, ci sono le frange estremiste, rintracciabili, ad esempio, tra i no tav o tra gli anarco insurrezionalisti». Insomma, c’è molta rabbia in giro. «Il rischio di terrorismo, c’è». Tuttavia, si tratta di qualcosa di diverso da quello degli anni 70. «Le Brigate rosse o Prima Linea erano bande organizzate militarmente in strutture clandestine, e facevano riferimento ad un’ideologia ben precisa che fungeva da collante». Secondo Brambilla oggi, al limite, «l’aspetto ideologico comune può esser rappresentato dall’avversione al nuovo grande potere della finanza». Allora, era il comunismo. «Ovviamente, la stragrande maggioranza dei comunisti era contro questi fenomeni; alcuni, tuttavia, erano conviti che si sarebbe potuto introdurre il socialismo reale con questi mezzi». Oggi, i tempi sono cambiati. E parecchio. «Ero a Genova, per seguire il caso Adinolfi per la Stampa e i carabinieri dell’antiterrorismo e i Digos dicevano a noi giornalisti di non commettere l’errore di interpretare i fatti di questi giorni con le categorie di quarant’anni fa. E di non stupirsi se la rivendicazione stentasse ad arrivare». Il pericolo, adesso, è diverso: «c’è una galassia pluri-frammentata ove esistono individualità in grado di commettere atti come quelli di Genova e che, al massimo, si affiliano in gruppi di 3, 4, al massimo 5 persone».



Salvatore Sechi, su queste pagine, affermava che il loro isolamento rende l’identificazione più difficile. «Non sono d’accordo – replica Brambilla -. Anche all’inizio degli anni 70 era difficilissimo identificarli. Il fenomeno era nuovo e le Questure erano attrezzate per indagare negli ambienti della malavita. Non avevano ancora informatori, né infiltrati. Fino al sequestro di Moro le Br erano inafferrabili, si sapeva poco o niente di loro». 

Le difficoltà di adesso, quindi, c’erano anche in quel periodo. Resta l’ipotesi che i nuovi terroristi possano associarsi secondo le modalità di allora. «Non è escluso. Ma è presto per dire se si organizzeranno in gruppi armati e coordinati. E’ presto, d’altronde, anche per dire se il fenomeno assumerà un’entità effettivamente rilevante, sul piano numerico». Frattanto, tutti si chiedono chi potrebbero essere i Fai. «Per il momento – conclude Brambilla –  dubito che gli stessi uomini dell’antiterrorismo sappiamo con chi hanno a che fare».



 

(Paolo Nessi)