Don Julián Carrón, in una lettera pubblicata ieri da Repubblica, svolge una profonda riflessione sugli effetti dell’abuso del potere politico. Le parole del presidente della Fraternità di Comunione e Liberazione riguardano in particolare il rapporto tra chi ha abusato di quel potere e la comunità religiosa di cui l’abusante fa parte. Esse non si limitano alla lesione inferta allo spirito della comunità perché si interrogano anche su come la comunità deve accogliere chi ha sbagliato aiutandolo a correggersi. Non ho la sensibilità adeguata a intervenire su questi aspetti del tema. Ma il problema della valutazione delle conseguenze dell’abuso del potere politico e del rapporto tra chi ha abusato e la comunità di cui egli fa parte si pone anche quando questa comunità è laica, quando è un partito.
L’uso propagandistico della questione morale, la tendenza di alcuni mezzi di comunicazione a trasformarsi in partito politico, senza accettare i limiti di questa collocazione, la diffusa intolleranza nei confronti della politica, intesa come pura somma di pratiche parassitarie, hanno acceso un grande incendio. E molti, invece di andare alle cause dell’incendio, ai focolai, si limitano a gettare qualche brocca d’acqua sulle fiamme più vicine, convinti che l’incendio vada spento da altri. Invece, siamo vicini al flash over, al momento in cui si registra un brusco innalzamento della temperatura e un aumento massiccio del materiale coinvolto nella combustione. L’abuso del potere politico ha tre dimensioni.
Una è legata alle pratiche intenzionali di sfruttamento delle posizioni di supremazia al fine di arricchimento personale. Un’altra consiste nella paternalistica tolleranza degli abusi dei sottoposti, concepita come condiscendenza del principe che ha come contropartita la totale disponibilità dei sottoposti ai propri desiderata.
Una terza dimensione consiste negli automatismi connessi all’esercizio del potere politico. Questa terza dimensione è quella più pericolosa perché comporta uno scivolamento progressivo, a volte persino inconsapevole. Gli onori esagerati, la disponibilità degli interlocutori, il plauso acritico dei servi e quello interessato dei disonesti, creano frequentemente nell’intelligenza del politico una sorta di accavallamento tra la persona e la funzione.
In questi casi il politico non considera né il possibile raggiro che si nasconde dietro gli onori e i favori, né che gli uni e gli altri sono rivolti al potere che esercita e non alla sua persona. Sempre più spesso le cronache ci informano delle trasformazioni strutturali dei processi corruttivi. È frequente il coinvolgimento di chi esercita un potere politico in giri di amicizie che inizialmente appaiono del tutto disinteressate e preoccupate solo del suo benessere e della sua tranquillità. In questo clima il politico si convince di versare in una situazione di invulnerabilità e comincia a commettere gli abusi più gravi. Arriva infatti il momento in cui scatta la richiesta impropria.
A quel punto, il politico che ha goduto per un tempo a volte non breve di vantaggi e benefici deve rispondere e la risposta non può che essere positiva per la pregressa dimestichezza con i richiedenti e con i loro favori. Questa tripartizione non attiene ai livelli di responsabilità giuridica, ma riguarda il livello di attenzione del politico prudente nel capire che deve costantemente separare la sua persona dalla funzione e rifiutare ciò che il privato impropriamente dà a lui soltanto in vista del potere che esercita.
Uno dei fattori positivi dell’educazione politica comunista italiana era costituita dal continuo ammonimento che il potere ricoperto era un riconoscimento che il partito ti dava e che andava pertanto esercitato con umiltà e spirito di servizio. C’era certamente l’idolatria del partito, ma c’era anche un grande sforzo di educazione al bene comune. Don Carron si pone il problema delle responsabilità che ha una comunità religiosa.
Io penso, e spero di non essere tacciato di integralismo, che anche il partito è politicamente responsabile se non interviene quando un suo esponente abusa del potere politico. Il silenzio del partito diventa complicità, o addirittura incoraggiamento. Non porsi sul versante laico le domande che quel religioso si pone su un altro piano è un grave errore perché riflette un’idea del partito politico come comunità accidentale, una sorta di ipermercato in cui si entra, si prende, si negozia, si sottrae con l’astuzia e, se va bene, si conclude qualche buon affare.