TERREMOTO EMILIA ROMAGNA. Gli amici dall’Emilia Romagna, da domenica scorsa, mi mandano messaggi sulla situazione in quella terra martoriata dal terremoto tra Modena e Ferrara. A Finale Emilia, la Giovanna apriva le porte della Fefa, una delle più belle trattorie del nostro paese. Ed è stata danneggiata sensibilmente, ma alcuni danni li ha subiti anche il mitico Rigoletto di Reggiolo. Scoramento, di primo acchito, anche se io sono certo che risorgeranno presto, con l’aiuto di chi si è affezionato alla loro storia e alla loro cucina.
Successe così anche ad Alessandria, quando l’alluvione mise in ginocchio 10 ristoranti che avevamo scoperto su Papillon. Hanno riaperto tutti, perché far da mangiare è un’indomita vocazione a partecipare alla vita. E luoghi come questi due che ho citato sono dei campioni in tal senso. Sono passati ventuno anni e non mi sembra vero. Ventuno anni che esce questo periodico di “resistenza umana” che porta il nome della farfalla, Papillon.
Se andate sulla home page del sito www.clubpapillon.it potrete leggere gli ultimi cinque numeri, mentre quello nuovo è a disposizione cliccando qui. È il numero 63 e come sempre raccoglie tante novità, nel senso proprio di gente che s’è messa a ricreare qualcosa che ci parla di un presente plausibile, il gusto, visto anche con gli occhi di alcuni ragazzi, ventenni, che ho conosciuto recentemente. Uno degli articoli più belli che appare credo sia quello dedicato a Pasquale Forte, un imprenditore di origine calabrese che è tornato alla terra, come suo padre, facendo rinascere un borgo a Castiglione d’Orcia in Toscana. Quindici anni hanno voluto dire vigneti sperimentali, olivi, ma anche allevamenti e rimessa in moto di un ecostistema che era andato perduto.
La riconversione alla biodinamica l’ha obbligato ad interrogarsi su cosa fosse la vita di un terreno e la sua dinamizzazione. Bisogna andarci per vedere cosa significa riallacciare i rapporti con una storia di saperi che insensatamente rischiava di essere seppellita sotto la spinta di un progresso fasullo.
Però il mio viaggio apposito a Rocca d’Orcia, la settimana scorsa, aveva uno scopo preciso: andare a vedere come rinasce un borgo. “L’ultimo negozio è stato chiuso 40 anni fa – m’ha detto Pasquale – e un paese senza un negozio è un luogo senza un’anima”.



Come è vero. Aveva smesso di funzionare anche l’albergo sotto la rocca. E lui ha ripreso in mano tutto: ha aperto due negozi, uno di artigianato locale l’altro di prodotti, che porta il nome di Perinquà (tel. 0577887551). Perillà (via Borgo Maestro, 58 – tel. 0577887263) è invece un’osteria raffinata, dove ho mangiato la migliore pappa al pomodoro degli ultimi tempi. Dietro ai banchi e alle cucine ci sono dei giovani, sotto i trent’anni, che vivono qui e sempre qui accolgono la gente che arriva, stupita che un luogo così bello fosse rimasto silente.
Eppure da una terrazza si vedono gli orizzonti più belli della Toscana, capace di insinuarti quello che chiamo il “Mal di Toscana”, misto di nostalgia e mestizia. Mi piace vedere l’entusiasmo di questi giovani attorno a un progetto, che è come un ritorno alla vita, e quindi alla speranza. Io credo che dopo aver preso coscienza del valore che possono avere il gusto e il lavoro dell’uomo, nulla potrà più essere come prima, almeno qui in Italia. Si chiama l’irrinunciabile qualità. E lo dico in positivo, guardando le tante situazioni che stanno rinascendo.
Su Papillon, in 180 pagine, ne raccontiamo tante, persino la pazzia di Teo Musso, che ha deciso di produrre la Cola Baladin dopo aver scoperto quella noce originale in un paese lontano. Be’ sono orgoglioso che sul mio giornale ci siano queste storie di rinascita e anche il racconto dei ristoranti pieni nei giorni feriali, in quello che è considerato da tutti l’annus horribilis. Un motivo a tutto questo ci sarà pure. Se leggete, cliccando qui, lo scoprite.



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