Si è concluso il processo di appello sulle cosiddette nuove Brigate Rosse: i giudici della seconda sezione della Corte d’Assise d’Appello di Milano hanno emanato le condanne, pur riducendo le pene, nei confronti di undici imputati: Claudio Latino è stato condannato a 11 mesi e 6 mesi di reclusione (la pena più severa inflitta oggi), Davide Bortolato a 11 anni, Vincenzo Sisi a 10 anni, Alfredo Davanzo a 9 anni, Bruno Girardi a 8 anni, Massimiliano Toschi a 7 anni, Massimiliano Gaeta a 5 anni e 3 mesi, Andrea Scatamburlo a 2 anni e 4 mesi e Amarilli Caprio, Alfredo Mazzamauro e Davide Rotondi a 2 anni e 2 mesi di reclusione. E’ stato invece assolto Salvatore Scivoli, per il quale l’accusa aveva chiesto una condanna a 6 anni e 6 mesi. Tutti gli imputati sono stati giudicati colpevoli di banda armata e associazione sovversiva, quindi i giudici della seconda sezione della Corte d’Assise d’Appello di Milano hanno escluso la finalità terroristica dell’associazione. Sono stati inoltre decisi due risarcimenti pari a 400 mila euro alla presidenza del Consiglio e 100 mila euro a Pietro Ichino, dopo che entrambi si erano costituiti parte civile nel processo. Alla lettura della sentenza il pubblico presente in aula, costituito soprattutto da amici e familiari degli imputati, ha protestato vivacemente contro i giudici con urla e slogan. «Queste persone vogliono decidere chi sia il simbolo dello Stato ed emanare sentenze di morte e di ferimento nell’ambito di una guerra che hanno dichiarato», ha detto il senatore del Pd Pietro Ichino parlando con i giornalisti. Il giuslavorista ha quindi sottolineato di aver tentato la strada del dialogo con gli imputati, i quali si sono però sempre rifiutati. Queste persone, ha detto poi Ichino, «sono terroristi e non c’è altro termine con cui possono essere definiti». Gli stessi imputati hanno spesso insultato Ichino, rivolgendogli frasi come “vergogna, vai a lavorare”, ma frasi ingiuriose sono anche arrivate dal pubblico presente in aula. «Le minacce che mi rivolgono ancora è uno dei motivi per cui devo ancora oggi girare sotto scorta. Alla follia non c’è altro rimedio che la condanna in uno Stato di diritto», ha spiegato il Senatore Ichino. 



Alfredo Davanzo, uno degli imputati, ha risposto dalla gabbia alle dichiarazioni rilasciate in aula dallo stesso Ichino: «Questo signore rappresenta il capitalismo, lui è l’esecutore di questo sistema e noi eseguiremo il dovere di sbarazzarci di questo sistema». «Questa gente – ha detto ancora Davanzo – non ha diritto a fare sceneggiate, c’è una guerra di classe in corso e quelli blindati siamo noi». 

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