San Paolo, nella Lettera ai Romani (5,20-21), ci dice che: “Laddove è abbondato il peccato ha sovrabbondato la grazia”. Ma la grazia, però, per compiere la sua opera deve svelare il peccato per convertire il nostro cuore e farci conquistare “la giustizia per la vita eterna”. E questo per mezzo dell’iniziazione in Cristo. Solo in questo modo il medico non si limita a curare la piaga, ma consegna a colui che è ferito il messaggio per non essere più piagato.
La lettera di Julián Carrón mi ha richiamato subito alla memoria il passo paolino per il coraggio straordinario che ha di richiamarci al rischio proprio del cristiano, ossia il rischio di disperdere la grazia e di non vederla. Carrón afferma di essere stato “invaso da un dolore indicibile” e con straordinario coraggio continua dicendo che se Comunione e Liberazione “è continuamente identificato con l’attrattiva del potere, dei soldi, di stili di vita che nulla hanno a che vedere con quello che abbiamo incontrato, qualche pretesto dobbiamo pure aver dato”. Questa è la chiave fondamentale di questa straordinaria testimonianza di umiltà e di verità. Naturalmente Carrón rivendica serenamente l’estraneità di Comunione e Liberazione a ogni malversazione e a ogni sistema di potere.
Si pone in questa lettera il problema teologico e straordinariamente pratico insieme dell’espiazione. E l’espiazione in questa lettera è identificata nella ricongiunzione nel carisma del Fondatore e con il ricongiungimento e la “Sequela” che porta al fascino per Cristo e la vita cristiana. Drammatico è il richiamo al popolo di Israele, spogliato di tutto. Carrón richiama il suo popolo a rivestirsi del carisma della fede anche nei momenti più difficili, quando il dubbio invade le coscienze. È significativo il richiamo a Don Giussani che parla del sì di Pietro dopo il suo rinnegamento. Il problema quindi è verificare la fede nell’Esperienza. Ma questo ora, lo sanno tutti, è tremendamente difficile quando l’identificazione dell’Esperienza nella costruzione dell’economia è totale. Ossia quando la Sequela carismatica diventa immediatamente cemento per la costruzione dell’opera economica.
Se costruiamo un muro di mattoni e in ognuno di quei mattoni vogliamo che ci sia sempre la luce dell’identificazione nel Carisma, ogni volta che un mattone si sgretola, cade, si rompe anche il Carisma, agli occhi di coloro che guardano il muro, si corrompe. Ci si dimentica che tra Carisma e mattone c’è una bella differenza. Il Carisma della fede mi dà la forza di costruire il muro, ma non posso far correre al Carisma il rischio che ogni mattone di quel muro sia consustanzialmente una tessera del mosaico del Carisma. Identificare troppo strettamente l’Esperienza e la Parola, l’Esperienza e la Sequela, fa correre sia alla Parola sia alla Sequela il rischio di essere derisi dai farisei che non attendono altro che dare a Pilato Cristo con tutte le Sue opere.
Le parole di Carrón mi richiamano quindi a un’etica consapevole del rischio che si corre quando non si opera nell’unità dei distinti, ma invece nell’unità dell’immediatezza della testimonianza di fede e della testimonianza dell’opera. È il lavoro che va santificato ed è la persona che va santificata nel lavoro, ma guai a credere che ciò accada per il semplice fatto che si condivide una fede. Se così fosse, peccheremo continuamente di superbia, e la catechesi del peccato non avrebbe bisogno di esistere.
Invece, come ci ricordava bene Paolo VI, il Male, il Diavolo, esiste ed è con noi in ogni passo della nostra vita. Per questo occorre tenere separati tutti i richiami alle attività sacramentali con le opere economiche. Lì il male è molto facile che si annidi: è sempre in agguato. E per il fatto di appartenere a Comunione e Liberazione non per questo si può ritenere di sfuggire al peccato originale.
La lettera di Carrón, che è così dura, è scritta con il dolore, nel dolore, richiama anche a un atto di libertà. Quella libertà che forse invocava Goethe quando sul letto di morte disse: “Più luce”.