«La dignità vale più della vita di un uomo». Dobbiamo immaginarcelo Pietro Paganelli, l’artigiano di 72 anni di Mergellina che venerdì scorso, mentre scrive questo biglietto, dopo aver ricevuto una nuova cartella esattoriale, e già determinato in cuor suo a farla finita con un colpo di pistola alla testa. Un uomo con una vita di lavoro alle spalle, una grande passione per il mare («amava la vita e amava il mare» ha raccontato il nipote Luca), tanta esperienza accanitamente messa insieme negli anni, che alza la bandiera della resa. Dobbiamo immaginarcelo così disperatamente consapevole, così solo con la sua impotenza davanti alla macchina implacabile della burocrazia fiscale, prima di giudicare il contenuto di quelle sue parole. Cos’era la dignità per Pietro Paganelli? Era qualcosa che appartiene a un’Italia che forse non c’è più o che, più probabilmente, nessuno sa che esiste ancora. Era un guardare testa alta la vita fieri del lavoro fatto, della famiglia messa in piedi grazie a quel lavoro, orgoglioso probabilmente di quella scelta di autoimprenditorialità che a 72 anni lo vedeva ancora all’opera e non parcheggiato in qualche forma di pensione. Una dignità messa alla berlina dal percorso penoso che probabilmente lo avrebbe atteso: soldi da chiedere in prestito per pagare quel debito, magari frutto di una svista della burocrazia fiscale, banche che rispondono picche, usurai che bussano come avvoltoi alla porta. Dobbiamo immaginare tutto questo, tutto quello che può essere ribollito nel cuore e nella testa di un uomo con la storia di Pietro Paganelli, prima di giudicare il contenuto di quella frase.
Dobbiamo chiederci quanto Pietro Paganelli sia vittima di un’Italia che ha girato le spalle a quella che era la sua grande ricchezza umana: l’imprenditoria diffusa, vero reticolo di vitalità economica, capitale sociale senza paragoni, simbolo anche di una creatività che permea il paese da nord a sud. Uno stigma si è abbattuto su questa categoria umana, per laureare negli anni l’immagine tutta lustrini e stipendi milionari dei manager arrivati a guidare medie e grandi imprese solo a beneficio degli azionisti e della borsa. Per loro copertine e titoli pieni di ammirazione; per gli altri solo sospetti, e sguardi pieni di invidia e malignità. Ma il manager quando le cose voltano male se ne va con la sua buonuscita milionaria; l’imprenditore invece resta solo con la montagna di problemi caricati sulle spalle.
Ma quel biglietto lascia aperta una domanda: era giusta l’idea di dignità che Pietro Paganelli si era fatta? Nella vicenda che ha visto protagonista quell’artigiano nautico di Mergellina, non sono mancati solo quei 30mila euro di cui il fisco vantava credito; è mancata una voce che gli venisse incontro per convincerlo che non era solo; e che la dignità della sua vita era qualcosa di molto più grande di 30mila euro e di tutti i problemi che avrebbero potuto causargli. La dignità non ce la diamo da noi, l’ha data alla nostra vita, per fortuna, qualcun Altro. E solo un’amicizia, una condivisione vissuta di questa certezza può essere di aiuto in quei momenti in cui sembra che alla nostra fragilità non ci si rimedio.