Ha ragione Luciano Violante, quando afferma che la lettera a Repubblica di don Julián Carrón pone problemi seri anche alla politica e ai politici “laici”. A quelli che individua Violante, mi permetto, da laico lontano da voi, ma attento alle vostre cose, di aggiungerne un altro. Che riguarda la nostra (di noi laici, democratici, e di sinistra) disposizione di spirito, diciamo così, nei confronti del vostro rovello.



Dico subito il mio punto di vista. La forza dell’argomentazione di Carrón sta nella grande capacità di combinare il rifiuto di ogni teoria del complotto contro Comunione e Liberazione con la riaffermazione umile e assieme orgogliosa del valore straordinario dell’esperienza di una grande comunità qual è la vostra. Un’esperienza che costituisce certo, come ha scritto, sempre su Repubblica, Gad Lerner, “una vicenda controversa, ma imprescindibile del cristianesimo contemporaneo”, in grado quindi “di sopravvivere al berlusconismo, anche nella sua variante Formigoni”. Ma che, almeno dal mio punto di vista, è e resterà anche, e proprio per questo, una grande risorsa ideale, culturale, civile, sociale e, perché no, politica di cui la democrazia italiana, o quel che ne resta, ha davvero bisogno.



Non so quanti laici, democratici e di sinistra, condividano questo punto di vista, anzi, penso che molti non lo condividano affatto, nella convinzione che quanto sta emergendo in questi giorni (vedremo poi quale ne sarà l’eventuale rilievo penale) sia la prova provata di un loro giudizio, o pregiudizio, antico. Secondo il quale l’“integralismo” di Comunione e Liberazione sarebbe da un pezzo, in ultima analisi, l’alibi ideologico, o se preferite la copertura, di una sovrana, prosaica spregiudicatezza, e anche di qualcosa di peggio, nelle “opere”, sul terreno, cioè, laico e mondano.



Intendiamoci. Il problema c’è, si vede a occhio nudo, non si chiama soltanto Formigoni, e lo sintetizza benissimo don Carrón quando scrive che, se il movimento “è continuamente identificato con l’attrattiva del potere, dei soldi, di stili di vita che nulla hanno a che fare con quello che abbiamo incontrato”, ebbene, “qualche pretesto dobbiamo averlo dato”. Ma tutto sta a vedere su cosa si scommette. Sulla riduzione di una storia come la vostra a questione giudiziaria, su un’implosione, su una crisi che si porti finalmente via tutto?

A me questa sembrerebbe una scommessa non solo perdente, ma pure suicida, anche per chi di Cl non ha mai fatto parte, e che con Cl non ha solo dialogato (io, con quelli del Raggio, lo facevo un secolo fa, quando ero un liceale comunista…) ma anche, in tanti frangenti, polemizzato aspramente (già allora…).

Qualcosa di simile lo abbiamo già visto, in mondi molto diversi dal vostro, una ventina d’anni fa: non è stato un bel vedere, di quello scatafascio non hanno pagato un prezzo amarissimo solo i diretti interessati ma, basta guardarsi attorno, tutto il Paese. Io scommesse non ne faccio, anche perché, in genere, le perdo. Ma spero nell’esatto contrario. Spero che sappiate, e non sarà facile, guardarvi dentro; correggere, anche radicalmente, quello, e non è poco, che va radicalmente corretto; ricalibrare la natura e la qualità della vostra esperienza senza smarrirne l’ispirazione di fondo, ma pure senza immaginare impossibili ritorni alle origini; porre su basi nuove, e diverse, il vostro rapporto con la politica. 

C’è, dalle mie parti, chi pensa: finalmente ce ne stiamo liberando, di questi cattoliconi così pratici del potere e del sottopotere. Io spero nell’esatto contrario. Perché senza di voi, o con voi ridotti all’angolino, saremmo tutti più poveri: in una crisi oscura come questa che ci tocca vivere, della vostra presenza c’è bisogno. E anche perché, più prosaicamente e, se volete, egoisticamente, ci tengo ad avere un interlocutore pesante e ingombrante (perché questo voi siete: pesanti e ingombranti), con il quale, all’occorrenza, litigare. Il che, come è noto, fa bene alla salute.