Che adulti siamo, che padri e madri siamo. Ieri l’ennesima notizia di una disperazione fatale da crisi, salvato in extremis dalla figlia quindicenne mentre si era appeso all’albero del suo giardino. Nella notizia della ragazzina che salva il padre imprenditore dal suicidio c’è tutto il rovesciamento di responsabilità, maturità, tutta la miseria di un popolo che ha perso la sua capacità più preziosa, quella educativa. Intendiamoci: questa crisi è feroce e assurda: perché andava prevista, preparata, contenuta. Perché la si è esagerata,  la si esagera, come su una  fiammella stentorea in un pagliaio una tanica di benzina. Sapremo forse a vantaggio di chi, o se emergerà soltanto la mediocrità politica di chi ci governa, e preferisce che si schiaccino gli uomini,per tenere in piedi l’homo economicus. Ma non ci si uccide per un debito: si chiede, si elemosina, ci si ingegna, ci si umilia: o siamo così inconsistenti da consistere del nostro successo nel lavoro, del nostro potere? Un padre ha il dovere di reggere, e togliersi il pane, davanti ai suoi figli. Un padre, se non è malato di nervi, e allora la crisi c’entra ben poco, è colui che sostiene, che fatica, che consola. E mette le ali, perché sicuri della sua forza ci si possa mettere in strada. Può capitare che gli errori, o le condizioni della vita, sfianchino i più robusti, e allora sarà la tenerezza, lo struggimento per la propria famiglia a spronare. Ve lo ricordate Will Smith, ne La ricerca della felicità? Non può uccidersi, deve crescere suo figlio. Si riduce all’ospizio dei poveri, per lui. Per questo è un eroe: non lo è chi cede o sbatte la sua rabbia in faccia al mondo e a chi gli vuol bene, come troppa retorica romantica sul suicidio ci ha fatto credere. Davvero crediamo che Monti o chi per lui abbiano sulla coscienza le troppe morti di questi giorni? O non piuttosto una cultura che ci spinge a rincorrere soldi e visibilità e fa coincidere la felicità con l’avere, con quel che si chiamava “Onor del mondo”? Una povertà di umanità, per cui più che i tuoi figli, la tua felicità, anche nel deserto più solitario e ostile, conta l’immagine? Con tutta la comprensione per chiunque di questi tempi bui abbia pensato di non farcela, di non poter resistere, e che non ha colpe, se non la solitudine, e la mancanza di solidarietà: perché è pazzesco che una comunità non sappia, e non si muova, oppure che i legami con la propria comunità siano inesistenti al punto da non poter domandare. 



Con infinita pena, dunque, ribadisco che chi tenta il suicidio non lo fa per eroismo, né per protesta: ma perché ha smarrito la ragione, e nessuno l’ha aiutato a ritrovarla. Sono certa che quel papà sfortunato di Lecco, mentre si è sentito sostenere dalla figlia quindicenne, accorsa tramortita dalla paura, ha capito tutto: capito quant’era bella e saggia quella ragazza,quant’era bella, faticosamente, dolorosamente meravigliosa la sua vita. Pane e acqua ogni giorno, per potere accarezzare quei capelli. E al diavolo lo spread e le cartelle Equitalia.

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