È mancata la Rina, un signora gentile che gestiva il negozio di alimentari del mio paese, quando ero bambino. Così, domenica sera sono tornato al paese per recitare il rosario. Ci sono tornato dopo un lungo viaggio, ma per la prima volta – pensa un po’ – mi sono accorto che le giornate si erano allungate parecchio e la luce metteva in risalto i campi di grano che diventavano gialli, pronti per la raccolta di giugno. Quando sono arrivato nella mia chiesa di Abazia di Masio ho pensato al dolore dei funerali dei miei, ma anche ai momenti lieti, quando nei pomeriggi assolati entravo dentro questa oasi di silenzio solo per il gusto del fresco.



Le giornate scorrono via consumate da un appuntamento all’altro e talvolta ti trovi inebetito come quelle persone che girano intorno alla stazione Centrale in cerca di un pasto. Sei inebetito quando Paltro ti chiama al telefono dalla sua Emilia e ti dice che ha paura, perché a cinque chilometri da lui il paese non c’è più. Ti guardi intorno e sembra che tutto vada comunque avanti, senza calcolo, ma anche senza la riconoscenza di esserci… E così facendo viene a mancare quel fiato di felicità, che sempre e comunque si annida nel cuore di ognuno, quando il proprio sentimento umano si imbatte in un altro, in qualsiasi situazione ti trovi. Quando mi trovai a vivere i terremoti del Friuli e poi dell’Irpinia, ricordo gli amici più grandi che partivano a fare i volontari in quelle terre. Io ero sempre piccolo per esserci. Ma quando tornavano avevano negli occhi qualcosa di diverso che diventava racconto di una terra, di una cultura, coi suoi canti e le sue tradizioni.



Però alla base di tutto questo cosa c’era se non l’abbraccio di una famiglia, che ordinava ogni distrazione e sedimentava ogni istintività? Luca Doninelli ha scritto un memorabile pezzo, ieri, sul senso della famiglia, che è la fonte di una rinascita personale per ciascuno, esattamente come la mano divina che ti accompagna. Mia mamma aveva studiato solo fino alla quinta elementare, eppure aveva un senso del presente che pochissimi mi hanno trasmesso in seguito (ma qualcuno ci è riuscito). La ricordo a maggio, quando portava in tavola le fragole e poi subito le ciliegie, quasi per dirmi che c’era un ordine che faceva arrivare puntuali queste cose buone. 



E che noi eravamo al centro di quell’ordine, quasi che tutto fosse stato fatto per quel momento di autocoscienza. L’altra sera al rosario della zia Rina pensavo a questo e a quante cose mi raccontavano i miei genitori, i miei zii, con quello che oggi chiamiamo gusto. Pensiamo soltanto al gusto di mangiare tutti la medesima cosa, a tavola, quasi per riconoscere istantaneamente che siamo al mondo per una positività, come il sole che sorge su una nuova giornata. Eppure c’è stato chi ha relativizzato anche il posto a tavola, e poi la famiglia, le unioni, fino a quel professore che un giorno mi disse: “Per favore non parliamo di ordine, perché l’ordine ha creato sempre tensioni nella storia dell’umanità”. Ma il contrario dell’ordine è disordine professore! Si può ripartire da un disordine? Se fosse questa la via da seguire, non sarebbe possibile neppure ricostruire l’Emilia, che invece riparte, famiglia dopo famiglia, dal ricordo di chi ci ha fatto vedere la forza di una positività. Come una manciata di ciliegie.

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