Meno male che una coppia di sociologi (Inglesi? Americani? Tedeschi? Non lo si dice, non lo sappiamo) Ulrich Beck ed Elisabeth Geirsham, molto prossimi, perché insieme vivono e scrivono libri, ci spiega che l’amore a distanza è meglio di quello di prossimità. Non ne potevamo più del marito che russa e della moglie con i bigodini a letto. E meno male che la Repubblica delle Idee (ci fanno su una quattro giorni a Bologna, da non perdere) a firma autorevole di Concita De Gregorio, ce ne illustra il succo, in un’agile sintesi di tre pagine.



Analisi della realtà: la globalizzazione ci cambia, nelle relazioni, nei confini della famiglia e degli affetti. Positivo, se significa che una ragazza iraniana può sposarsi un inglese, e sperare di non passare una vita da schiava. Se un ragazzo sudanese può andare a studiare alla New York University, o un americano riesce ad aprire un bar su una spiaggia delle Figi. Negativo, se la mamma di Capoverde che fa la tata ai nostri bambini ha dovuto abbandonare il suo, di bambino. Se dimentichi con la distanza chi sono i tuoi nonni, i tuoi zii e cugini. Però, nel computo finale costi-benefici il vantaggio dell’amore a distanza vince: perchè è un amore immaginato, ci vien detto. Evita quei fastidi comuni tipo il tubo del dentifricio spiaccicato, i calzini in disordine, l’alternativa sushi-hamburger con maionese. Evita di confrontarsi con la suocera. Di condividere i pesi e le gioie della quotidianità. Via web incontri il lui/lei ideale, te la meni scambiandoti video e hobbies, illustri desideri, progetti. Nessun impegno, nessuna fatica, niente sesso. “Perché per starmi vicino devi stare lontano”. Ci sono sempre alla peggio gli “amici di letto”, si chiamano così pare, per il sesso, e se la storia va avanti puoi sempre farti spedire una provvida provetta di spermatozoi. L’amore di prossimità mostra un’elevata capacità di ottundimento, è noioso e inflaccidisce. L’amore a distanza è estraniante, incide sul servizio sanitario, nazionale, perchè vuoi mettere “l’accudimento in età avanzata” dell’uno o l’altro partner di una coppia. Dopo un po’ l’artrosi ti inibisce il mouse, la vista sdoppia le icone e il cervello rallenta le reazioni emotive via internet. Sinceramente, i coniugi Beck-Gersheim non prendono posizione, né lo fa Repubblica, palestra del libero pensiero. Diciamo che il punto finale del servizio casca su affermazioni tipo: “L’amore vero è quello immaginario, che si svolge nella testa… scatena la fantasia… incrementa il romanticismo… genera disinibizione…”.



Ma proprio mettere sullo stesso piano le due posizioni umane è una scelta: perchè non sono paragonabili. L’amore è carne, materia. E’ perdersi in un cielo stellato perché ricorda quegli occhi, che non vedi l’ora di incrociare da vivo, e di baciare. L’amore per una donna, un uomo, un figlio, per la famiglia. Che non è sostituibile dalla “rete”. Ci vuole una rete di affetti che sappia abbracciare la tua miseria e la tua solitudine. Che sappia volerti bene così come sei, come ti si vede e tocca. Reale, non virtuale. Tu, proprio tu. E’ la sfida della persona sulla moltitudine. Dell’individuo sull’individualismo.

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