Quante possibilità ci sono che la Consulta, il 20 giugno, dichiari incostituzionale la legge 194? Riassumiamo: tutto è nato da un giudice del tribunale di Spoleto che ha sollevato delle obiezioni di costituzionalità dopo che una 16enne aveva deciso di abortire senza coinvolgere i genitori. Secondo il giudice, va esaminato l’articolo 4 della norma, quello che prevede la possibilità di interrompere la «gravidanza nei primi novanta giorni dal concepimento, e la facoltà della gestante che accusi circostanze comportanti un “serio pericolo” per la sua salute fisica o psichica». Per il giudice tale norma violerebbe gli articoli 2 («la Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo») e 32 I Comma «la Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti») della Costituzione; li violerebbe considerando il fatto che, di recente, la Corte europea per i diritti dell’uomo ha stabilito che l’embrione è soggetto di tutela assoluta. Tornando alla domanda iniziale: «Bisogna distinguere tra le ragioni di stretto diritto da quelle legate all’orientamento politico e ideologico che, nel corso degli anni, la Corte Costituzionale ha assunto ogni volta che ha esaminato le questioni riguardanti la 194», spiega, raggiunto da ilSussidiario.net Alfredo Mantovano, onorevole del Pdl, tra il ospiti del convegno del 7 giugno “Non toccate quegli embrioni“, promosso dalla fondazione Magna Carta. Secondo il quale, ad oggi, è impossibile fare previsioni. «La Corte, con un atteggiamento, sovente, pilatesco, ha sempre evitato di entrare nel merito della legge. Risolvendo tutte le eccezioni sollevate con ordinanze di inammissibilità, manifesta infondatezza o di irrilevanza». A dire il vero, precisa, una volta si è espressa. Eccome. «Lo ha fatto in vista del referendum dell’81 sull’aborto; quando fu chiamata a esaminare l’ammissibilità dei quesiti referendari diede, di fatto e preventivamente, l’avvallo alle 194, affermando che fosse una legge costituta secondo criteri di piena attuazione e coerenza rispetto al principio costituzionale della tutela della salute della donna». Fin qui, i motivi per cui la Consulta potrebbe bocciare le obiezioni del Tribunale di Spoleto. «E’ anche vero che, dal ’78, quando la legge è stata varata, sono trascorsi più di trent’anni. E, ad oggi, esiste un condizionamento della Corte europea dei diritti dell’uomo sui singoli stati nazionali che, allora, non c’era. La partita è ancora aperta». Comunque vada, potrebbe essere un’occasione per farle un tagliando. «Che la si possa sostanzialmente modificare è del tutto escluso: la 194, infatti, è l’unico e vero tabù dell’ordinamento italiano. Si ritiene, come è giusto che sia, che la Costituzione sia modificabile, mentre l’unico insieme di norme che deve rimanere intangibile è quello sull’interruzione di gravidanza». Una qualche revisione, tuttavia, è plausibile. 



Per Mantovano, nell’ambito della legge stessa, sarebbe possibile valorizzare la parte contenuta nei primi articoli relativa alla dissuasione. «Ad oggi – spiega -, la gestante richiede presso la struttura organizzata il certificato per l’interruzione di gravidanza senza troppi problemi e, trascorsi sette giorni di “riflessione”, può abortire. Sarebbe opportuno che l’Asl, il consultorio o il medico di fiducia indicassero concrete alternative all’aborto. Come del resto la legge prevede che si debba e non che si “possa” fare. Sarebbe, inoltre, possibile legare e subordinare il rilascio del certificato alla verifica dell’attuazione effettiva di tali indicazioni». Ci sono, inoltre, degli articoli che sono stati superati. Uno su tutti: «si consente l’aborto oltre il settimo mese se il feto non è passato alla fase di vitalità; con vitalità si intende la facoltà del feto si sopravvivere in caso di parto prematuro. Tale facoltà si considerava, nel 1978, sussistere, appunto, dal settimo mese in poi. Ad oggi, grazie ai progressi della scienza medica, ci sono casi di feti che sopravvivono anche in caso di parto prematuro al sesto mese».



 

(Paolo Nessi)

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