Un magistrato di Spoleto ha chiesto alla Consulta di valutare se la legge 194 sull’aborto sia conforme all’articolo 2 della Costituzione, secondo cui “la Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo”, e all’articolo 32, in cui si afferma che “la legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana”. La Corte costituzionale si è pronunciata ieri affermando che è “manifestamente inammissibile, la questione di legittimità costituzionale dell’art. 4 della legge n. 194 sull’aborto, sollevata dal Giudice Tutelare del Tribunale di Spoleto”. Come sottolinea Cesare Mirabelli, professore di Diritto costituzionale all’Università Lateranense, “il giudizio della Consulta riguarda la modalità in cui è stata sollevata la questione, e non i contenuti di quest’ultima. Nelle sue sentenze passate la Corte costituzionale ha sempre affermato che non esiste alcun diritto all’aborto e che vanno tutelati anche i diritti dell’embrione e non solo quelli della madre”.



Professor Mirabelli, può spiegare perché la Consulta ha valutato inammissibile il ricorso contro la legge 194?

Quella della Corte costituzionale è una decisione processuale che rispecchia in qualche modo l’indirizzo delle sue precedenti sentenze: la questione è ritenuta non ammissibile nel procedimento in cui è stata sollevata. Nei casi come quello di Spoleto, in cui il giudice tutelare è chiamato ad autorizzare la minore quando per giustificati motivi non possono essere sentiti i genitori, il magistrato non partecipa della cosiddetta “volontà abortiva”.



Che cosa vuole dire?

Al giudice non spetta decidere sull’aborto in quanto tale, ma soltanto sulla consapevolezza e maturità da parte della minore che vuole abortire.

E dunque?

Nel sistema italiano il giudizio di legittimità costituzionale è incidentale. Deve nascere cioè da un processo e la decisione deve essere rilevante per il procedimento stesso. Il giudice tutelare di Spoleto non doveva decidere sull’aborto, ma soltanto sulla maturità della madre, e quindi la domanda posta alla Corte costituzionale non era pertinente al procedimento da cui era nata. Il giudice tutelare quindi non poteva sollevare una questione di legittimità costituzionale sulla legge 194.



Ma come possono convivere il rispetto della persona umana sancito dalla Costituzione con la legge sull’aborto?

Con la sentenza di ieri, la Consulta non sta affermando che l’aborto sia compatibile con la Costituzione. Dice semplicemente che la questione posta dal giudice di Spoleto è infondata, e quindi non la esamina nemmeno. Nel merito della questione il magistrato ha sollevato dei dubbi di costituzionalità certamente di rilievo. Fa infatti riferimento all’orientamento della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, che nel novembre 2011, ha ritenuto che sia da assicurare una protezione dell’embrione. Ciò è avvenuto in una materia diversa che riguardava il trattamento degli embrioni, la loro sperimentazione e brevettabilità, ma è importante sottolineare che nel merito la questione relativa ai dubbi di costituzionalità resta aperta.

 

Quindi la legge 194 potrebbe essere incostituzionale?

 

Il problema aperto è quale sia la tutela da assicurare all’embrione. Le precedenti sentenze della Consulta hanno sempre ritenuto che vada protetta e considerata anche la posizione dell’embrione. Bisogna però vedere quale dei due diritti finisca per prevalere nei casi in cui si debba scegliere tra evitare un danno per la salute della donna e salvare la vita all’embrione. E’ sempre escluso però che l’aborto possa essere un diritto, perché non esiste un diritto all’aborto, anche nella giurisprudenza della Corte costituzionale.

 

A chi tocca sollevare i dubbi di costituzionalità senza che siano giudicati inammissibili sul piano formale?

 

E’ difficile stabilirlo in anticipo. Il dato certo è che però, se anche si riuscisse a trovare il modo adatto per farlo, la Corte costituzionale probabilmente percorrerebbe una via di bilanciamento tra i diversi diritti previsti dalla Costituzione.

 

Può fare un esempio?

 

Nel momento in cui vi fosse un pericolo grave per la salute della donna, evitabile solo con l’aborto, occorrerebbe trovare un equilibrio tra i diritti della madre e quelli del nascituro. Non mi azzardo a definire quale soluzione potrebbe essere trovata, è però una questione aperta ed è molto difficile capire in che modo possa essere risolta. La stessa legge sull’interruzione volontaria della gravidanza, sia pure in una formula che può apparire solo di premessa, pone come principio la salvaguardia della vita del concepito. Poi nella realtà contraddice questa stessa premessa, ma resta il fatto che si tratta di un principio tuttora riconosciuto dalla legislazione vigente.

 

(Pietro Vernizzi)