Un documento condiviso che parli essenzialmente di diritti. Il Comitato diritti del Partito Democratico, presieduto da Rosy Bindi ha, infatti, consegnato al segretario del partito un documento che individua i principi comuni che dovrebbero animare la cultura politica dei democratici in materia di diritti “comuni” in cui possano riconoscersi i militanti e gli elettori del Partito democratico. Un lavoro non facile anche per molti dirigenti del partito, primo fra tutti Pierluigi Castagnetti, che sul sito dei democratici ammette: “Il Pd non è un partito creato in un laboratorio politologico attorno a un manifesto predisposto da qualche ottimato sceso da Marte, ma è nato nel fuoco di una dura battaglia politica, in cui si confrontano progetti politici alternativi e di governo della modernità”. “I democratici non riusciranno a dare risposte appaganti per tutti- dice Pierlugi Battista-. Ma almeno hanno il coraggio di affrontare argomenti importanti, anche se politicamente scabrosi”. Per il costituzionalista Alberto Gambino “Mi sembra un significativo passo avanti nei contenuti e nella modalità rispetto al modo in cui si è svolto sino ad ora, il dibattito su questi temi. A proposito di famiglia, però, sono in disaccordo poiché sia quella tradizionale sia quella che comprende le coppie di fatto deve essere basata sulla possibilità di procreare, quindi esclude le coppie omosessuali”.
Quali sono i motivi che la spingono a definire positivamente questo documento?
Il lessico, ad esempio, mi sembra più appopriato. Alcune parole sono meno ideologiche del passato e quindi più aderenti alla Carta Costituzionale, il che significa dare un segnale al Paese di maggiore serenità e condivisione su alcuni temi che hanno visto il Partito Democratico mettersi in minoranza, come ad esempio il referendum sulla legge 40.
Andando più nello specifico. Cosa ne pensa del capitolo famiglia?
Il lato positivo è che si distingue la famiglia dalle altre unioni civili e quindi c’è un richiamo abbastanza perentorio agli articoli 29, 30 e 31 della Carta Costituzionale e che si riferiscono soltanto ai nuclei familiari fondati sul matrimonio. Forse, e questo è un appunto, si sarebbe dovuto spiegare anche perchè il nostro ordinamento e la politica dovrebbero privilegiare questo tipo di famiglia. Il motivo è semplice: la famiglia è in grado di generare figli, condizione che permette alla nostra società di progredire nei prossimi secoli. La finalità procreativa dei nuclei familiari, purtroppo, non è stato messo adeguatamente in luce nel documento.
Quindi, questa sua visione comprende anche le coppie di fatto eterosessuali?
Certo, sebbene non siano sposate civilmente, tuttavia anch’esse collaborano nella costruzione di una società. Questo punto è fondamentale perchè distinguerebbe il discorso per altre unioni…..
Quelle omosessuali?
Esatto: per quanto degne e meritevoli di attenzioni non sono, comunque, in grado di generare figli. Questo aspetto non è stato messo in luce e ne è nato un discorso troppo generale su unioni civili e di fatto, lasciando una sorta di libertà della scelta affettiva con l’assunzione di solidarietà che dovrebbe portare ad un riconoscimento, anche da parte dello Stato, di queste unioni. Il tutto senza, però, specificare questa gradazione di cui abbiamo parlato: famiglia fondata sul matrimonio che significa certezza giuridica, famiglia di tipo eterosessuale e, dall’altra parte, coppie omosessuali che non possono generare figli.
Lei pensa che il percorso che si sta intraprendendo in molte città, come ad esempio, Milano, sia costituzionalmente corretto?
Lo trovo profondamente errato. Dal punto di vista giuridico, questa è una materia di competenza del legislatore nazionale e non del comune. Oltretutto, crea disuguaglianze attribuendo ad alcuni cittadini che vivono in determinate aree diritti legati a status civili, quali appunto famiglia e unioni, o se risiedono in altri territori italiani ne sono privi. Questa questione riguarda tutti i cittadini dello stato italiano e se si deve intervenire, occorre farlo solo con la legge dello Stato.
Lei crede che attribuire maggiori diritti alle coppie di fatto, implichi doverne attribuire anche alle famiglie, magari con incentivi economici?
Seguendo la distinzione delle tre realtà in campo che ho premesso prima, anche a livello di incentivi, aiuti e solidarietà devono essere trattate in maniera nettamente e necessariamente differenziata, privilegiando la famiglia di tipo “tradizionale”.
In questo modo le coppie omosessuali sarebbero discriminate.
Si può parlare di discriminazione se davanti a situazioni uguali si fanno trattamenti diversificati. I nuclei di carattere omosessuali non rientrano nell’articolo 29, quindi la situazione è talmente disomogenea da non contemplare nemmeno trattamenti non paritari.
Per ora, nemmeno le coppie di fatto sono contemplate nella Costituzione.
Però, queste ultime non hanno questo regime giuridico di favore poiché rifuggono questa scelta di stabilità giuridica e, per scelta, desiderano mantenersi nella precarietà. Questo è sicuramente un disvalore perchè crea incertezza nella convivenza quotidiana ed è corretto che, ad un livello gerarchico, siano ad un livello inferiore rispetto alla famiglia fondata sul matrimonio.
E’ un punto di vista che non metterebbe d’accordo le due anime del Pd. Quella più conservatrice e quella più progressista che vorrebbe l’equiparazione dei diritti per tutte le coppie.
Credo che il discorso sia più complesso: le coppie eterosessuali hanno due possibilità, sposarsi o non farlo. Chiaramente quelle omosessuali non hanno la possibilità di unirsi in matrimonio e occorrerebbe estendere alcuni diritti che in parte sono stati riconosciuti per le coppie di fatto di sessi opposti anche per quelle dello stesso sesso.
Ad esempio quali?
La successione nel diritto di abitazione, visite sanitarie in alcune strutture ospedaliere o il contratto di locazione. Sono tutele che il documento vorrebbe estese anche per le coppie omosessuali.
(Federica Ghizzardi)