Ciclicamente, la trovata torna in auge. Per fortuna, la sua assurdità è nota al punto da non essere mai stata presa seriamente in considerazione. Finora. Almeno in Italia. Se, però, un personaggio come Saviano si fa promotore della legalizzazione delle droghe leggere allo scopo di sottrarne alle mafie l’esclusiva, c’è da preoccuparsi. Lo scrittore vanta milioni di fan e tanti accoliti. C’è gente che prende ogni suo parola come oro colato e le sue affermazioni rischiano di aver una risonanza che va ben al di là della semplice sortita. Fa specie, ad esempio, che un luminare come Umberto Veronesi, da decenni in prima linea nella lotta contro il cancro, si sia sentito in dovere di ringraziarlo per aver riaperto il dibattito. Vale la pena, a questo punto, spendere qualche riga per ricordare, anzitutto, che chiunque sa benissimo che il flusso di denaro di cui dispongono le mafie non si arresterebbe mai per merito della legalizzazione. Per la criminalità organizzata, continuare a gestire lo spaccio è vitale e, di conseguenza, a fronte di un intervento del genere, non farebbe altro che alimentare un mercato nero, accanto a quello ufficiale. Magari, in cui poter acquistare la droga a prezzi più vantaggiosi. Ma la questione, tutto sommato, è secondaria. A fronte di benefici inesistenti, Saviano non si è reso conto che l’iniziativa da lui suggerita produrrebbe danni sociali incalcolabili. Temo che ignori il fatto che le cosiddette droghe ”leggere” non si possano, propriamente, definire tali. Almeno da diversi anni. Una quantità di additivi e sostanze chimiche, e il potenziamento dei principi attivi in esse contenuti, ne hanno moltiplicato, nel tempo, l’intensità, rendendole estremamente pericolose e amplificando a dismisura gli effetti collaterali che possono produrre all’apparato cardio-vascolare, a quello respiratorio, al sistema immunitario, al sistema endocrino e a quello neurologico. E’ ormai noto, a livello di letteratura scientifica e di senso comune, inoltre, come il consumo di sostanze quali l’hashish e la marijuana conduca facilmente all’utilizzo e alla dipendenza dalle droghe pesanti. All’Imprevisto, la comunità terapeutica di cui sono presidente, abbiamo assistito, nel corso degli anni, centinaia e centinaia di ragazzi con seri problemi di droga (attualmente, ne assistiamo una 70ina). Non ne abbiamo ancora incontrato uno che non abbia iniziato da quelle leggere. 



I casi di persone che abbiano assunto cocaina, eroina o altre sostanze pesanti fin da subito, senza un passaggio dai classici spinelli, sono rarissimi, da manuale. Non dimentichiamo che la società, in questa fase storica, vive una condizione di manifesta frustrazione psicologica. Soprattutto, a causa dello scoramento prodotto dalla crisi. Diffondere l’utilizzo di droghe leggere risulterebbe una macroscopica operazione di anestetizzazione collettiva, dalla conseguenze inimmaginabili. Il tessuto comunitario è debole. Così facendo, lo si indebolirebbe ulteriormente. In tanti reputano Saviano all’avanguardia intellettuale del Paese e un paladino della giustizia; spiace che, invece che consigliare la legittimazione di un male, non si sia soffermato sul contemplarne le cause; e che non si sia interrogato sul perché tanti giovani, di cui si è intestato così tante volte la rappresentanza, si trovino ad avere la vita distrutta per gli effetti dello sballo. Alla base delle ragioni che portano un ragazzo a drogarsi, vi è una radicale questione educativa. Tra gli adulti, nelle famiglie o nelle scuole, si è ormai diffusa l’incapacità di coinvolgere i giovani in un impegno, in una responsabilità o in un lavoro; in essi domina la convinzione di essere soli, senza alcuno che li ami per quello che sono; sono privi dell’entusiasmo di chi ha un compito, sa che la sua vita ha un senso e che esiste una vocazione anche per lui. L’incapacità di educare deriva, a sua volta, dal fatto che l’uomo di oggi si è sempre più convinto di essere egli stesso il creatore della propria esistenza. Le droghe sono funzionali a questa concezione, perché aumentano il livello delle proprie prestazioni sociali ed elevano l’autostima. Consentono di persistere in una sorta di limbo incantato, dove la vita procede senza che sia necessario metterci il proprio impegno e la propria creatività. Se, a chi propone di legalizzare le droghe leggere, capitasse di avere un figlio con problemi di tossicodipendenza, cosa accadrebbe? Lancerebbero ancora simili provocazioni? Forse, pure loro, si porrebbero qualche domanda un po’ più seria. 

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