Mentre Marcello D’Orta, autore del famoso libro Io speriamo che me la cavo, sta parlando, si sente dietro a lui il suono di alcune campane. “Le sente le campane?” dice. “Neanche a farlo apposta mi trovo in un convento, sono venuto a trovare mio figlio che è frate”. D’Orta, con la sua simpatica parlantina tipicamente napoletana, non ha dubbi al proposito: “Di fronte all’assenza dello Stato, di fronte a famiglie che dello Stato non si fidano minimamente preferendo rivolgersi alla camorra, la Chiesa è l’unica alternativa che offra speranza”. Un paio di anni fa, in un quartiere napoletano, alcune famiglie non volendo nella scuola frequentata dai loro figli i bambini rom provenienti da un vicino campo, si rivolsero alla camorra per farli allontanare. Il risultato fu che il campo rom venne dato alle fiamme. Adesso, due anni dopo, diciotto appartenenti a un clan camorristico sono stati arrestati per quel fatto. “Napoli è una città soffocata dalla camorra: questo episodio dimostra quanto essa abbia preso il posto dello Stato”.
Che tipo di quartiere è quello di via Gianturco a Napoli dove si trova il campo rom dato alle fiamme nel 2010?
E’ un quartiere periferico, quindi lo scenario già si presenta da solo. Come tutte le periferie delle grandi metropoli anche qui si vivono le medesime problematiche.
E’ eccessivo parlare di zona di povertà?
No, non è eccessivo. In realtà non è il massimo del degrado né della miseria, però certamente non è un quartiere residenziale. Il tipico quartiere di periferia in situazione molto difficile.
Che giudizio dà di questo episodio?
Il problema principale di questo fatto non è nel pur gravissimo episodio in sé, ma che ci sia rivolti alla camorra.
Non è un problema di razzismo, dunque, o almeno non solo.
Non è un problema di razzismo perché Napoli è sempre stata, e lo è ancora, molto tollerante. Questa è piuttosto una guerra fra poveri e non fra razze diverse. Questi ragazzi rom portavano un’altra mentalità, magari arrivavano anche più sporchi degli altri in classe. Però conosco Napoli e posso dire che non è una città di razzisti.
Di fatto, ovunque e non solo a Napoli, i rom sono identificati sempre come il pericolo.
Sì, ma fino a un certo punto. Siamo onesti, se no facciamo ipocrisie. Chiunque di noi quando vede uno zingaro sta sulle difensive, con tutta la letteratura che li riguarda e che li descrive in un certo modo stiamo sempre sul chi va là come se potesse succedere qualunque cosa in qualunque momento. Ma come dicevo prima, qua il fatto grave, il vero problema, è stato rivolgersi alla camorra.
Affrontiamo allora questo aspetto.
Ci si è rivolti al nemico, non all’amico. Napoli è una città stretta nella morsa della camorra, la camorra è la nostra principale nemica. Le attività commerciali non decollano per la camorra, tutto passa da loro, anche la festa patronale. Quando ci si rivolge a loro è un paradosso e una beffa. Ci si rivolge a chi ti sta facendo del male. Una volta a Napoli c’era la figura del guappo, che io ho conosciuto negli anni 50. Non era uno che taglieggiava il commerciante, non metteva il pizzo oppure la bomba sotto al negozio, quello che fa invece la camorra. Era una persona che si era arrogato il diritto di fare il Robin Hood del quartiere e tutti dovevano passare per lui, onorarlo. Si racconta che i guappi sul tram non pagavano il biglietto. A lui ad esempio ci si rivolgeva se una ragazza rimaneva incinta e il giovane non voleva sposarla: ci pensava lui a farli sposare.
Ma ci si rivolge alla camorra perché lo Stato è assente o perché la gente proprio non crede che lo Stato sappia porre dei rimedi?
Ci si rivolge alla camorra per una questione di velocità. Si sa che l’apparato burocratico si muove con lentezza e che affidandosi a questi signori l’emergenza viene risolta non solo velocemente ma con maniere forti e dissuasive. Come nel caso dei rom. La polizia fa sgombrare il campo con le buone, ma poi spesso il problema rimane, questi invece picchiano e incendiano in modo da spaventarli una volta per tutte.
La camorra dunque è una sorta di Stato nello Stato.
Interi quartieri della città si affidano alla camorra. Abbiamo visto la polizia cercare un camorrista famoso, in quartieri come Ponticelli e Secodigliano, e la popolazione sollevarsi contro le forze dell’ordine a difesa di questi delinquenti. Si è come stretta una alleanza con questi personaggi, che da questo modo di fare traggono ancora più potenza sentendosi i paladini di tutti. Anche se non fanno niente per niente: una volta che ti rivolgi alla camorra troveranno il modo di chiederti il dovuto in qualche maniera. Magari protezione quando arriva la polizia e diventa complicato uscire da questo circolo malato.
Il problema educativo invece quanto conta in questo contesto? Cosa vuol dire per un bambino crescere in questa situazione?
E’ un problema che tocca sia il bambino napoletano che quello rom. I bambini napoletani vedono scacciati i loro coetanei che non erano responsabili di niente e che avevano avuto la sfortuna solo di nascere in una famiglia che non ha una casa. Non è una bella lezione, anche se l’insegnante spiegherà in classe cosa è successo. Ma i bambini non avrebbero dovuto assistere a questa scena. I bambini rom scacciati come cani davanti al loro diritto di istruzione invece dove andranno? Non hanno certo la possibilità di scegliersi una scuola. Ovunque andranno potrà ripetersi questa situazione.
C’è anche un evidente problema educativo all’interno delle famiglie, prima che a scuola.
Assolutamente sì. Le peggiori guerre sono quelle tra poveri, sei sempre il meridionale di qualcuno, e per noi i meridionali sono i rom. Questo è molto triste, difficile anche da risolvere. Questi rom hanno diritto allo studio come dice la Costituzione. Altrimenti è una sconfitta dello Stato.
Famiglie carenti dal punto di vista educativo, Stato assente o incapace di risolvere radicalmente la situazione: a chi rivolgersi a questo punto?
Neanche a farlo apposta in questo momento in cui parliamo sto in un convento. Io penso che la soluzione più concreta oggi possa essere rivolgersi alla Chiesa, a realtà come la Caritas, ambienti dove non si guarda al colore della pelle o alla povertà. Certo le scuole private non sono alla portata di tutti, ma se si arrivasse a offrire scuole di questo tipo in modo gratuito, sarebbe un grande passo in avanti, una speranza. Stiamo parlando di scuole che sono luogo di libertà e di vera educazione per tutti.
Una speranza per tutti.
La situazione oggi mi ricorda l’avvento del nazismo in Germania, un Paese che era diviso e invaso da razze di tutti e dove vinse la logica del: fidiamoci solo di noi stessi ed eliminiamo tutte le altre razze, in una sorta di autodifesa. Mi affiderei alla Chiesa: oggi a Napoli ci sono già realtà di volontariato che operano in modo costruttivo.