Titanic, rivista tedesca di satira, ha pubblicato in copertina una foto ritoccata di Benedetto XVI con una vistosa macchia di urina sulla veste. Sul retro della rivista, un’altra foto manipolata del Pontefice ripreso di spalle, con una macchia marrone. A commento della foto, in riferimento al caso Vatileaks, la scritta: «Halleluja in Vaticano. Trovata la fonte della fuga di notizie!». Il Vaticano non è rimasto a guardare: è intervenuto immediatamente chiedendo e ottenendo dalla magistratura tedesca il blocco della distribuzione di Titanic, anche se le copie già in edicola non verrano ritirate. Per i responsabili del settimanale, un caso di censura evidente non tollerabile. IlSussidiario.net ha sentito Pablo Echaurren, pittore e illustratore, fondatore, negli anni 70, della più nota rivista satirica italiana, Il male, e collaboratore anche di Linus e Frigidaire. «Ritengo che la satira abbia dei limiti tutte le volte che tocca la sofferenza altrui», sostiene Echaurren, «proprio per questo motivo abbandonai Il male. Allo stesso tempo non c’è censura che mi trovi simpatizzante». Per Echaurren, poi, spesso la censura ottiene l’effetto contrario: «Ci sono libri o film che non valgono niente e sono diventati famosi solo perché caduti sotto la scure della censura».



Echaurren, come giudica questa copertina della rivista tedesca Titanic?

Le racconto una storia personale e curiosa che le chiarirà la mia posizione in merito. Nel 1978 fui tra i fondatori de Il Male e ne uscii quasi subito per un contrasto con il resto della redazione in merito a una copertina satirica, che venne poi pubblicata, su Aldo Moro, in quel momento sotto sequestro da parte delle Brigate Rosse. Questa era la proposta che poi venne messa in opera. Venne utilizzata la foto di Moro sequestrato, in camicia, con in mano un quotidiano e alle spalle il drappo delle Brigate Rosse. In calce alla foto misero lo slogan di una pubblicità, allora molto famosa: «Scusate, abitualmente vesto Marzotto». Claim che caratterizzava la campagna pubblicitaria imperniata su personaggi “perbene” ritratti in maniche di camicia.



Perché lei era contrario a questa satira?

Ero sconvolto dal rapimento in corso e mi opposi. La risposa fu: la satira ha diritto di satireggiare su ogni cosa, non c’è limite. Io invece ritengo che la satira abbia dei limiti. Per sequestrare Moro e realizzare quindi quella foto, cinque uomini della scorta furono uccisi dai terroristi. Poi Moro era oggettivamente in una situazione di detenzione, con una condanna mortale che pesava sulla sua testa. In definitiva, per me era insopportabile scherzare su questo.

Quali sono dunque i limiti a cui dovrebbe sottostare la satira?

I limiti sono quelli della sofferenza. Tra l’altro, questa satira della rivista tedesca sul Papa in quanto uomo anziano che soffre di quello che è un tipico handicap senile – handicap che il Papa non ha – colpisce tanti anziani come lui. Personalmente, ad esempio, non avrei mai scherzato con i deficit fisici che aveva Giovanni Paolo II. La sofferenza e i deficit sono dei limiti umani su cui non si deve scherzare. D’altra parte oggi si discute sul fatto che la censura ha dei limiti di tipo razziale: anche quello è un limite. Nessuno oserebbe fare della satira sull’appartenenza a questa o quella razza, ma soprattutto la sofferenza non permette di riderci sopra.



E la censura? È utile o deve essere messa sempre al bando?

Ritengo che la censura non sia mai proficua perché le cose si giudicano per quello che sono, non è necessario un intervento esterno. Non c’è censura che mi trovi simpatizzante. Se uno dice una cosa orribile si giudica da solo. Certe cose orribili fatte danno la misura della persona che le sta compiendo. Con la censura, invece, si ottiene l’effetto contrario. Questo vale per diverse forme di censura letteraria. Ci sono libri o film che non valgono niente e sono diventati famosi perché caduti sotto la scure della censura. In Italia chi avrebbe altrimenti sentito parlare della rivista Titanic?

Lei ha vissuto da protagonista gli anni 70, un periodo dal forte impatto ideologico. Che differenza trova da allora anche nel campo della satira?

Molti lamentano la mancanza dell’ideologia, mentre io dico che invece è meglio. Alcuni si lamentano che non ci sono più gli entusiasmi di una volta, ma io dico meglio meno entusiasmi se questo porta a meno persone uccise, come invece è successo allora. Chi non ha vissuto quegli anni non può sapere quali autoimposizioni ideologiche un’intera generazione ha subìto. Non sono anni che ricordo con particolare piacere, salvo alcuni momenti entusiasmanti, come del resto in ogni periodo. Come immagine generale non auspicherei un ritorno a quel clima lì.

Lei è un famoso pittore, ma ha anche delle passioni molto particolari…

Diciamo di sì: sono considerato il più grande collezionista al mondo di futurismo. La mia passione nasce nel 1977. Allora ero un indiano metropolitano e anche redattore di Lotta Continua. C’era una fazione di estrema sinistra che non concordava con il mio eccesso d’ironia nei confronti della sinistra stessa. Fecero un volantino contro di me dicendo: tu credi di aver letto Tzara e Breton, ma a te spira puzzolente l’alito di Marinetti. Mi sono chiesto: ma era così mostruoso Marinetti? Io credo sia l’artista più rivoluzionario, assieme a Picasso, del Novecento.

Il suo nome è ancora oggi legato alla sua copertina del romanzo Porci con le ali. A tanti anni di distanza, si sente ancora legato ad essa?

Mi ci legano, ma io non mi ci sento legato, e neanche all’epoca ero entusiasta. Il libro l’ho letto anni dopo, mi sembrava qualcosa di voyeuristico per chi voleva guardare dal buco della serratura le generazioni cosiddette giovani. Un libro che non mi ha mai attirato, lo trovo particolarmente non riuscito.

 

(Paolo Vites)