Ci si sposa di meno e ci si separa di più. La crisi della famiglia in Italia si acuisce e la conferma viene dagli ultimi dati, che si riferiscono al 2010, resi noti giovedì 12 aprile dall’Istat. Nell’anno in questione le separazioni sono state 88.191, con un incremento del 2,6% sul 2009, mentre i divorzi (54.160) hanno fatto registrare un leggero decremento, pari allo 0,5%. Secondo l’avvocato matrimonialista Elena Donati contattato da IlSussidiario.net, «sono numeri che riflettono un fenomeno culturale. Oggigiorno i coniugi antepongono la propria individualità all’essere coppia. Pretendono che la legge tuteli i propri individuali interessi a discapito dei diritti della famiglia complessivamente intesa». C’è poi l’aspetto economico di una separazione, che spesso porta alla rovina uno dei coniugi, quasi sempre il padre. A fronte di questo, l’avvocato Donati ci ha spiegato come si sta evolvendo e cambiando il concetto di separazione in Italia, soprattutto a fronte di quello che è l’elemento più importante, e molto spesso anche la vittima, cioè i figli.
Avvocato, secondo recenti studi le coppie che si separano conoscono molto poco quanto li aspetta, soprattutto in termini economici. È così?
Non esattamente. Le persone che vengono da noi tendenzialmente sanno già a cosa vanno incontro. Non sanno magari cose di tipo specifico, ad esempio in quanto consisterà l’assegno di mantenimento, ma quando vengono qui sanno che c’è comunque l’aspetto economico da regolamentare, e chiedono a noi avvocati di precisare proprio questi aspetti. Nel nostro ordinamento giuridico non è prevista una modalità oggettiva per il calcolo dell’assegno di mantenimento previsto per i figlie e il coniuge più debole. Sono, infatti, molteplici i fattori che devono essere valutati al fine della determinazione del mantenimento, senza parlare del fatto che ogni situazione famigliare è unica. E intendo per questo non solo l’entità dell’assegno ma anche se questo sia dovuto o meno. Per il calcolo dell’assegno di mantenimento il punto di partenza è senz’altro il reddito dei coniugi cui si aggiunge il patrimonio inteso nel suo complesso (patrimonio immobiliare per esempio). Anche l’assegnazione della casa coniugale ha il suo peso all’interno della valutazione del contributo al mantenimento posto a carico di uno dei due coniugi. Infine, va considerato anche il diritto di visita.
In che modo il diritto di visita può incidere sull’aspetto economico?
Un altro fattore che certamente dovrà essere preso in considerazione per la valutazione del contributo al mantenimento dei figli è la loro permanenza presso i genitori. Nell’ambito dell’affido condiviso dei figli, infatti, la permanenza di questi presso l’uno o l’altro genitore è variabile nel senso che alcune coppie scelgono di attuare un regime di affidamento e di conseguente collocamento dei figli su base paritaria. In questo caso, secondo la previsione della legge 54/2006 è possibile per i genitori accedere al “mantenimento diretto” senza più la necessità di versare a mani dell’altro coniuge il mantenimento a favore dei figli. Questa modalità rimane del tutto residuale in quanto viene attuata quando vi è una capacità reddituale dei coniugi equivalente e soprattutto vi deve essere la capacità dei coniugi di accantonare la conflittualità tra essi esistente. Il mantenimento diretto e il collocamento paritario dei figli per la sua buona riuscita necessita, infatti, della capacità di collaborare e di comunicare dei coniugi.
Ed è difficile che questa comunicazione tra genitori separati si instauri?
Per i coniugi è sempre possibile la collaborazione e il dialogo. Spesso, però, questo aspetto viene a modificarsi grazie ad un percorso in cui il ruolo dell’avvocato è fondamentale. L’avvocato si trova quasi sempre a dover gestire la grande conflittualità esistente tra i coniugi. Conflittualità che si riverbera negativamente sui figli. Si arriva dal legale motivati da un forte dolore che non permette di entrare in comunicazione con l’altro coniuge. E’ essenziale, quindi, che il professionista riduca la conflittualità collocando nella giusta posizione i motivi di conflitto facendo comprendere ai coniugi che il loro essere genitori non viene meno nonostante la separazione, e che, anzi, occorre uno sforzo maggiore per garantire ai propri figli l’equilibrio che la separazione spesso fa venire meno. Solo avendo coscienza che il ruolo genitoriale non viene meno con la separazione o il divorzio, i coniugi riescono ad assumere appieno il proprio ruolo.
Ci sono associazioni di padri separati che lamentano che i figli vengano per la maggior parte dei casi affidati alle madri. È davvero così?
Oggi, per legge, l’affidamento è condiviso, e la potestà sui figli è affidata ad entrambi. Il fondamento della legge sull’affidamento condiviso è quello di mantenere un rapporto equilibrato e continuativo tra figli e genitori. E’ pacifico che con la separazione i coniugi non vivono più insieme e quindi il rapporto con i figli subisce necessariamente un cambiamento dovuto alla lontananza e alla frequentazione con il coniuge che si è allontanato dall’abitazione famigliare. E’ oggettivo che nella cultura attuale il ruolo dei padri è stato radicalmente rivalutato, e la legge sull’affidamento condiviso ne è l’esito. Oggi i padri desiderano molto di più di un tempo essere presenti nella vita dei propri figli. Prima l’affidamento era di tipo esclusivo e veniva concesso per lo più alle madri. Oggi questo approccio risulta totalmente stravolto consentendo di fatto a padri di interagire molto di più nella cura dei figli. E’ chiaro che il collocamento dei figli è legato alla casa coniugale che, prevalentemente, rimane assegnata alla madre. E, perciò, i figli, benché affidati ad entrambi i coniugi, spesso vivono insieme alla madre con il diritto del padre a vederli e tenerli con sé.
Nella decisione del giudice di considerare maggiormente il padre rientra anche una valutazione di come era vissuto il ruolo paterno prima della separazione?
Certamente. Al momento della separazione, nel valutare il diritto di visita, il giudice deve conoscere qual’era la situazione famigliare esistente. E ciò al fine di collocare correttamente il ruolo di entrambi i coniugi. E’ altresì vero, però, che, se il ruolo materno spesso si dà per scontato ed acquisito, il ruolo paterno va più precisamente delineato.
Si può dunque dire che la legislazione attuale non abbia bisogno di particolari cambiamenti?
Guardi, è una questione di educazione. Una legge non può cambiare la testa delle persone, tutto si risolve se c’è una capacità di collaborazione, se i genitori hanno coscienza del loro ruolo genitoriale. Non c’è nessuna legge che può educare il genitore a fare il genitore.