Uno  studio promosso dall’Università dell’Hertfordshire e diretto dal celebre psicologo britannico Richard Wiseman, pubblicato dalla bibbia del pensiero comune anglosassone, il Daily Mail, sostiene che si può imparare ad amare una persona semplicemente fingendo e aspettando che il sentimento diventi reale. Fingi di essere innamorato, e lo diventerai. Nonostante l’eco, buona a agitare di chiacchiere  i pub e le spiagge estive, non mi pare ci sia nulla di nuovo. Datemi una poesia d’amore, e scoprirete che alla donna, all’amata si accompagna lo spettro della finzione. In genere serve alla riottosa a consolare per un sentimento non provato, o alla fedifraga per mascherare i tradimenti.



Uso i termini al femminile solo perché la storia letteraria ci ha dato troppi poeti e ben poche poetesse, e le più brave non amavano uomini, ahimè. Può trattarsi di schermaglie, o di vera e propria menzogna:  ma dalla classicità all’amor cortese, dal petrarchismo ai romanzi epici (pensiamo soltanto a quante ne ha fatte passare Angelica al povero Orlando), dalla commedia dell’Arte ai sospiri romantici,  la verità e l’amore non possono del tutto andare d’accordo. Qui si dice però che la finzione va esercitata su di noi,  e dunque il vizio diventerebbe virtù, ciò che è irragionevole e contrario alla natura umana  può trasformarsi in arte per piegare alla ragionevolezza e alla serenità. Mah. 



Troppi decenni di palpiti  sorbiti dai feuilletton d’appendice o dai polpettoni cinematografici, altrettanti nelle gloriose battaglie in nome della libertà, che sembrava significare disvelamento di ogni formalità, di ogni teatralità e finzione, la lezione della psicanalisi, qualche dramma di Pirandello, sono più che sufficienti per renderci odioso qualsivoglia compromesso dell’amore con la non verità.  Siamo usi agli slanci appassionati, ai colpi di fulmine che si svelano sulle guance arrossate e il batticuore, altro che convincersi day by day che forse, ma sì, potrebbe essere l’uomo per te, come diceva la canzone. Eppure. Provate a raccontarla alle nostre nonne, e via andare, indietro di qualche secolo. E la disposizione d’animo che ci suscita repulsione era prassi, esercizio, condizione  normale, eccezione il contrario.



Pensate  al fatto scontato che i matrimoni erano tutti quanti combinati, e quand’anche no, c’era forse il tempo di uno sguardo, andando alla Messa, lavando i panni al fiume, ricevendo per il tè o facendo lezione di piano, a seconda delle condizioni sociali. Era di un’immagine che ci si innamorava, di un sogno, o di una solido futuro economico. Chi poteva permetterselo, sognava il principe azzurro, e al primo brucior di stomaco, alla prima occhiata impertinente ci si convinceva che poteva essere lui/lei. Chi non appariva così aggraziato o prestante, o non aveva uno straccio di lavoro o di dote, si rassegnava dall’infanzia  a un buon partito, o a quello meno peggio.

Ed è la situazione normale in cui si formano le famiglie in più della metà del mondo, oggi stesso. Erano, sono tutti matrimoni, amori infelici? Certo che no. Perlomeno perché dobbiamo a questa catena di amori nella storia la nostra nascita, e vogliamo credere che un bene abbia attraversato  il nostro destino, già segnato e in attesa del nostro essere. Perché ad onta di scandalizzare quel che pensiamo di credere, fingiamo sempre quando diciamo di essere innamorati, nel senso che fingiamo di amare. L’amore è altra cosa, è costruzione paziente di  cedimenti e conquiste e perdoni e  abbandoni, finché due siano una sola cosa. O è così, o ci si molla. E infatti oggi ci si molla in fretta. Se diciamo di amare, e lo diciamo subito, che lo sappiamo o meno, recitiamo una parte: un campanello, un post it al nostro cuore per ricordarci “più in là”, guarda più a fondo, cerca di capire cosa c’è in gioco. Non è come lo/la  vedi, non è come lo/la vuoi. Seguilo, attendi, impara a conoscerlo/a, lo/a amerai davvero, di più. 

Curioso soltanto che esimie menti accademiche ci spingano oggi a trovare l’anima gemella, dopo aver passato un secolo a dirci che l’anima gemella non esiste; che ci invitino a non star soli, a cedere qualcosa di noi stessi, per allargare il cuore, dopo averci spalancato le porte del relativismo e del pessimismo cosmico, per cui al massimo esiste il sesso, altro che l’amore, e nel caso ci siate cascati, il divorzio breve risolve il problema.  Che ci sia accorti che l’istintività e la pretesa sugli atri non portano alla felicità?