Quella che si è consumata ad Ozzano Emilia è una tragedia dai contorni duri e incomprensibili di un evento senza ragioni consumato nella solitudine, tra i paraventi delle convenzioni e dei luoghi comuni che si è convinti di dover difendere per il bene di tutti e che invece hanno stritolato la vita di una intera famiglia. E in particolare di un neonato, gettato nel cassonetto della spazzatura da una giovane ventunenne italiana forse aiutata ad abortire clandestinamente (è una delle ipotesi al vaglio degli inquirenti) pur se “in un contesto territoriale ove bastava chiedere aiuto sociosanitario per ottenerlo”. Paola Caronni traccia un ritratto di questa ragazza, e dei suoi figli. A modo suo.



—-

La ragazza camminava per le strade del paese verso sera o al mattino presto, con certi vestiti a fiori che si gonfiavano al soffio del garbino, il vento secco che spira dal mare, e porta anche nell’entroterra l’odore salmastro delle onde quasi fino a Bologna. E lì, sulle colline tondeggianti, tutte dolcezza senza nessuna asperità, lei davvero camminava come le turiste spensierate della costa, svagata e senza niente da fare, senza niente nelle braccia. Camminava guardando oltre, gli occhi fissi un po’ oltre la linea dell’orizzonte; e il suo vestito poi non si sgonfiava più, e lei cresceva tondeggiante come la luna quando è nella sua fase. Si sdraiava anche a terra, sui prati, solo per riposare sotto i rami degli alberi; si addormentava di un sonno vero, profondo, quello che ti sorprende quando non sei più tu sola a dormire, ma che è anche di qualcuno dentro di te, un sonno moltiplicato in cui si dorme per due. Eppure ancora più forte le sembrava il battito dei suoi cuori, più famelica la sua fame e più tranquilli, possenti i suoi pensieri.
Decisero però che sarebbe stato meglio aiutarla, quel vagare senza scopo sembrava irritare tutti quelli che avevano invece molto da fare, messi a disagio dalla sua leggerezza e dalla sua svanitaggine.
Passò quindi anche quell’orribile notte, tra farmaci e ferri medievali, fino allo strappo definitivo che credevano li avrebbe liberati; fino alla pena e alla compassione per il suo sangue che continuava a scorrere e che li costrinse a portarla in ospedale.
Sembrava che il dolore non potesse aver fine se non trovando un scopo; sembrò uno scherzo crudele che il travaglio non fosse finito e che due dei suoi tre cuori continuassero ostinatamente a battere; così si ritrovò fra le braccia il bambino, lei e lui superstiti, naufragati come su un’isola sul letto bianco dell’ospedale, loro salvi e lui travolto dai flutti, perso nel suo sacchetto dei rifiuti e annegato nel cassonetto.



Ma le sembrava che li guardasse, comunque e per sempre, con una saggezza e una calma da bambino solo, che non ha più nulla da perdere, come se stesse attento per sapere dove sarebbero andati e cosa avrebbero fatto da allora in poi. 
 

(Paola Caronni)

Leggi anche

Bimbi maltrattati, insultati e abbandonati all'asilo nido/ 4 maestre di Verona rischiano il processo