Si sono concluse con 12 rinvii a giudizio le indagini della Procura di Palermo sulla trattativa Stato-mafia. Nel provvedimento compaiono i capimafia Totò Riina e Bernardo Provenzano, gli ex ufficiali dei Ros, Mario Mori e Antonio Subranni, e l’ex ministro dell’Interno, Nicola Mancino. Dovranno comparire a processo anche i senatori Marcello Dell’Utri e Calogero Mannino. IlSussidiario.net ha intervistato Valerio Onida, presidente emerito della Corte Costituzionale.



Professor Onida, come valuta il modo in cui la Procura di Palermo è giunta a questi 12 rinvii a giudizio?

Questa è un’indagine che di fatto va a ipotizzare reati che avrebbero coinvolto e non potrebbero non coinvolgere esponenti del governo. I reati commessi nell’esercizio delle funzioni ministeriali non sono di competenza della Procura, ma devono essere ricondotti a quella particolare procedura prevista dall’articolo 96 della Costituzione, per cui il cosiddetto Tribunale dei ministri, un organo collegiale, conduce le indagini e chiede quindi l’autorizzazione a procedere alla Camera competente. Mi domando quindi per quale motivo non si sia posto questo problema. Se il reato ipotizzato è l’attentato ad un corpo politico dello Stato, attraverso una trattativa tra i vertici delle istituzioni e la mafia, siamo nel campo dei reati ministeriali. L’applicazione della Costituzione comporterebbe quindi che la Procura non indaghi, ma rimetta gli atti immediatamente al tribunale dei ministri.



Quindi le indagini della Procura sono incostituzionali?

Quella della Procura di Palermo è un’anomala procedura che sembra andare contro le previsioni dell’articolo 96 della Costituzione. L’ex ministro dell’Interno, Nicola Mancino, è accusato in particolare di falsa testimonianza. Ma se ciò su cui è stato chiamato a testimoniare è la cosiddetta trattativa, cioè reati che in ipotesi coinvolgono e non possono non avere coinvolto esponenti del governo, non si dovrebbe eludere la procedura prevista per i reati ministeriali. Una trattativa presuppone due parti e se una parte e’ lo Stato ciò vuole dire il Governo o suoi componenti.



Al di là delle questioni formali, che cosa ne pensa invece nel merito della trattativa Stato-mafia?

La trattativa sulla mafia avrebbe riguardato la revoca di provvedimenti di 41 bis, il cd carcere duro. Osservo che il 41 bis è un istituto che è stato controverso. Il fatto che siano stati revocati alcuni provvedimenti di carcere duro non implica necessariamente che si sia trattato di una concessione alla mafia.

Eppure alla mafia doveva fare comodo la revoca del carcere duro…

In realtà negli anni ’90 l’argomento suscitò discussioni e la Corte costituzionale fu chiamata più volte a pronunciarsi. Le conclusioni cui giunse furono che il 41 bis era legittimo purché si adottasse una determinata interpretazione che salvaguardasse il divieto di trattamenti contrari al senso di umanità, e non contraddicesse la finalità rieducativa della pena. Personalmente ho contribuito anch’io alla adozione di un paio di queste sentenze, nel periodo in cui ero giudice della Corte costituzionale.

Uno degli indagati, l’ex ministro della Giustizia, Giovanni Conso, ha dichiarato che alcuni provvedimenti di carcere duro furono revocati per una sua decisione autonoma, senza alcuna influenza esterna…

Non vedo ragioni per non credere a una persona come Giovanni Conso, di cui ho avuto modo di conoscere la statura morale, oltre che la competenza tecnica.

Che cosa ne pensa invece delle polemiche sul mancato coordinamento nelle indagini?

Se ci sono delle connessioni tra le inchieste delle Procure di Palermo, Firenze e Caltanisetta, può nascere un problema di reciproco coordinamento, di cui si è discusso a proposito della lettera che il presidente Giorgio Napolitano indirizzò al procuratore generale della Corte di Cassazione, ricordandogli la necessità di coordinare le indagini.

 

(Pietro Vernizzi)