“L’Ilva aveva il dovere di fare di più per la tutela della salute del cittadino. Gli atti che ha prodotto la magistratura vanno rispettati, in quanto credo che non si potesse fare diversamente”. Ad affermarlo è Alfredo Cervellera, consigliere regionale di Sel in Puglia, per la cui iniziativa è stata introdotta una nuova normativa che introduce il concetto di “valutazione del danno sanitario” sulle emissioni prodotte dalle aziende. Nel momento in cui il colosso siderurgico di Taranto rischia di chiudere per il sequestro deciso dal Gip, lasciando a casa 20mila operai, Cervellera spiega che il magistrato poteva scegliere di adottare una linea più morbida ma che la necessità di interventi per ridurre il danno ambientale resta un dato di fatto indiscutibile.
Cervellera, lei da che parte sta, del magistrato o dei lavoratori?
Dal punto di vista ambientale la magistratura ha prodotto degli atti sulle questioni più rilevanti che si conoscevano dalla perizia medica. Le istituzioni hanno fatto il loro dovere fino in fondo, almeno negli ultimi cinque anni, grazie alle leggi prodotte dalla Regione Puglia. La prima di queste è stata la legge anti-diossina, quindi è stata approvata quella sul benzopirene. Infine è stata la volta della norma di cui io sono il primo firmatario, e che fornisce delle regole rigorosissime fino ad arrivare alla chiusura degli impianti a tutela della salute del cittadino nel caso di inottemperanze nei confronti delle emissioni inquinanti. Noi come legislatore abbiamo fatto il nostro dovere, oltre al fatto che Comune, Provincia, Regione e il governo nazionale hanno messo a disposizione in tempi rapidi risorse sostanziose per combattere l’inquinamento.
Quindi non c’erano alternative al sequestro dell’Ilva?
Gli atti che ha prodotto la magistratura vanno rispettati, in quanto credo che non si potesse fare diversamente. Il gip aveva il dovere di introdurre delle prescrizioni severissime, in tempi accettabili, costringendo l’Ilva a realizzare ciò che non aveva fatto anche negli anni passati.
A che cosa si riferisce?
L’azienda avrebbe potuto fare di più soprattutto per quanto riguarda la copertura dei parchi minerari, che rappresentano una fonte di inquinamento molto forte, soprattutto per quanto riguarda le polveri sottili come il Pm10 e il Pm2,5. L’Ilva avrebbe dovuto impegnarsi maggiormente anche nei confronti di alcune delle batterie delle cokerie, per cercare di provvedere a una loro rivisitazione.
Che cosa ne pensa del fatto che 20mila operai rischiano il posto di lavoro?
Quello venuto alla luce in questi giorni è un conflitto tra ambiente e lavoro, e a rischiare di essere penalizzato è soprattutto il lavoratore. Io mi auguro che ci sia un riesame da parte della magistratura sulla base del ricorso che è stato presentato, con la possibilità che le nuove regole, molto più rigorose rispetto al passato, possano essere imposte all’azienda con il consenso di quest’ultima nell’ambito dell’Aib (Autorizzazione integrata ambientale). L’azienda stessa deve poter investire molte risorse per rendere eco-compatibile una determinata fabbrica.
Lei auspica un passo indietro da parte del Gip?
La magistratura ha sequestrato gli impianti senza la facoltà d’uso, soprattutto per quanto riguarda cokeria e acciaieria. Poiché l’Ilva è a ciclo integrale, ciò impedisce il prosieguo dell’attività nella produzione dell’acciaio e quindi condanna la fabbrica a rimanere chiusa. La magistratura ha usato le maniere forti, pur tenendo conto del fatto che era presente una questione di natura sociale, dando priorità alla tutela della salute pubblica. Questo ovviamente ha comportato dei notevoli problemi, mentre a mio avviso si sarebbe dovuta scegliere un’altra strada. Occorreva tenere conto di quanto era stato realizzato in Regione Puglia con la rivisitazione dell’Aib, imponendo regole molto più chiare e impegni rigorosi in tempi rapidi. Questo purtroppo non è avvenuto.
Ma il giudice non si è basato proprio sulla legge di cui lei è il primo firmatario?
Quella legge ancora non è stata applicata. Il suo testo prevedeva che nel giro di 90 giorni dall’approvazione, che risale al 17 luglio scorso, occorreva compiere una valutazione del danno sanitario e imporre all’azienda di evitarlo. Se da questa valutazione del danno sanitario prodotta da Arpa, Ares (Agenzia Regionale Sanitaria) e Asl, fosse risultato che le polveri sottili hanno degli effetti nocivi molto forti sia sui lavoratori sia sulla popolazione, si poteva prescrivere all’azienda di coprire i parchi minerali. Un’altra possibilità era quella di chiudere le due batterie più inquinanti. Bisognava fare coesistere il prosieguo dell’attività industriale con la massima tutela possibile della salute del cittadino.
(Pietro Vernizzi)