Antonio Ingroia, procuratore aggiunto di Palermo e titolare dell’inchiesta sulla trattativa Stato-mafia – vicenda in grado, potenzialmente, di suscitare un polverone al di là di ogni immaginazione e di provocare parecchi fastidi a personaggi tuttora influenti – è stato trasferito in Guatemala. Detta così, fa quasi da ridere; oppure, produce una certa inquietudine. Ricapitolando: il plenum dell’organo di autogoverno della magistratura ha dato il via libera al trasferimento a maggioranza, con due astenuti – il pg e il presidente di cassazione – e, quattro  voti contrari: Ettore Albertoni (laico della Lega), Antonello Racanelli (Magistratura Indipendente), Nicolò Zanon (Pdl) e Paolo Auriemma (Unicost). Ora, svolgerà un incarico, nell’ambito delle Nazioni unite, nella lotta al narcotraffico. In particolare, collaborerò con l’Onu nelle vesti di capo dell’Unità di Investigazione della Commissione Internazionale contro l’impunità in Guatemala. Cesare Mirabelli, professore di diritto Costituzionale presso la Pontificia Università Lateranense di Roma, già vicepresidente del Csm, ci spiega perché, in realtà, in quanto avvenuto non c’è alcunché di allarmante.  



E’ stata una sorta di promozione per impedirgli di “nuocere”?
Non direi. I magistrati sono coperti dalla garanzia costituzionale individuale dell’inamovibilità. Non possono essere spostati o trasferiti senza il proprio consenso e senza, ovviamente, una delibera del Cms, che è organo di garanzia.

Possiamo, quindi, escludere ogni forma di complotto?



Si tratterebbero di un’inutile dietrologia. Come può trattarsi di complotto se richiedere una scelta personale, qualunque possano esserne le motivazioni?

E una trattativa tra Ingroia e il ministro Severino?

Che connotati avrebbe dovuto assumere tale trattativa?

In cambio della mancata rilevazione di segreti di Stato, al magistrato potrebbe esser stata concessa un’uscita di scena decorosa

Mi sembra un’ipotesi macchinosa e inappropriata. Tanto più che l’indagine in corso a Palermo è il frutto dell’attività di un team di magistrati, non di uno soltanto. Non mi pare che la scelta di lasciare Palermo sia da drammatizzare. Ingroia non è l’unico ad essere a conoscenza delle carte e delle linee strategiche dell’inchiesta.



L’indagine, quindi, procederà secondo tempi e modalità sin qui assunte?

Non vedo perché non debba essere così. Sarà, in ogni caso, compito del procuratore di Palermo assicurare il corretto funzionamento dell’ufficio. E’ bene ricordare, infine, che l’iniziativa della Procura dovrà pur sempre essere sottoposta al vaglio della magistratura giudicante. Le sorti del procedimento sono affidate, in ultima analisi, alle valutazioni di giudici terzi e non solo, come è ovvio che sia, della magistratura inquirente.

In ogni caso, come mai l’Onu richiede la presenza di un magistrato italiano in una missione estera?

Nell’ambito delle Nazioni Unite esistono diverse posizioni ricoperte dai magistrati nazionali che vengono attribuite, di norma, a coloro che si ritiene dispongano di competenze specifiche nell’ambito in cui andranno a operare. Evidentemente, la professionalità di Ingroia è stata considerata adeguata e preziosa per il compito a cui sarà destinato. Di norma, inoltre, vengono presentate una serie di candidatura che possono ricevere l’avvallo del governo. Spesso, addirittura, la candidatura viene proposta direttamente dal Paese.

Per quanto riguarda l’Italia, ci sono precedenti analoghi?

Esiste, da un lato, una presenza di magistrati italiani in alcune sedi di rappresentanza diplomatica che funge collegamento con gli organi rappresentanti dei Paesi ospitanti e che consentono di agevolare lo sviluppo delle pratiche che riguardano le estradizioni o la collaborazione tra autorità giudiziarie per le inchieste; dall’altro, vi è una presenza all’estero che mette a frutto importanti competenze nella lotta alla criminalità organizzata. Il che significa che esiste una professionalità giudica positivamente dei nostri magistrati.