Un’ora per due associazioni. Tanto è il tempo che la Commissione Bicamerale Infanzia e Adolescenza ha dedicato mercoledì 27 luglio all’associazione “Famiglie per l’Accoglienza” e all’Associazione Papa Giovanni XXIII. Tempi ristretti per i parlamentari che dovevano accogliere i documenti di entrambe le realtà ai fini di un’indagine conoscitiva sullo stato dell’applicazione della legge sull’adozione e l’affido in Italia. Sette pagine per spiegare il punto di vista di “Famiglie per l’Accoglienza” – una rete diffusa in Italia nata su iniziativa di quei genitori che intendono sostenersi e promuovere l’esperienza dell’accoglienza familiare – sullo stato dell’affido e dell’adozione nazionale ed internazionale. “Abbiamo scelto di non affrontare il documento – dice la relatrice, il magistrato Alda Maria Vanoni – dal punto di vista normativo e del coinvolgimento degli enti interessati. Ma volevamo offrire il punto di vista delle famiglie adottive o affidatarie o aspiranti tali”.



Quali sono i punti di criticità per le adozioni nazionali ed internazionali?

Sono due strade molto diverse. La domanda di disponibilità viene, in entrambi i casi, presentata al Tribunale per i Minorenni che provvede ad un’istruttoria. Abbiamo constatato che sul territorio nazionale c’è una grande disomogeneità di contenuti, di procedure e di valutazione dell’idoneità per le famiglie che si apprestano a compiere un’adozione sia internazionale, sia nazionale. I tribunali, infatti, si organizzano in modo molto differente gli uni dagli altri anche a seconda delle risorse di collaborazioni e di servizi. Questo crea disagi per le famiglie e finisce per allungare i tempi, già dilatati, disincentivando questo percorso. In sé, la diminuzione di famiglie disponibili all’adozione nazionale non è un dato negativo: l’importante è che ci sia un numero sufficiente di famiglie per adottare tutti i bambini italiani che ne hanno bisogno. L’adozione è, infatti, un bene nella misura in cui risponde ad un bisogno dei bambini.



Lei parlava di tempi molto lunghi.

Il percorso che devono affrontare le famiglie richiedenti è lungo e faticoso e ne scoraggia la maggior parte. Per l’adozione internazionale, i tempi non dipendono totalmente dalle procedure e dai servizi offerti nel nostro Paese o dall’efficienza degli enti autorizzati accreditati, ma dalla durata delle procedure all’estero. Per questo, noi chiediamo un maggiore coinvolgimento del nostro governo nei rapporti con gli stati d’origine dei bambini adottati: sia ricercando accordi bilaterali che investendo maggiori energie a livello diplomatico su questa problematica. Vediamo che le coppie di altre nazionalità impiegano meno tempo di quelle italiane e immagino che questo significa che, pur restando nella legalità, esistono canali più veloci o che agevolano certi processi.



In pratica, quanti anni sono necessari?

Per l’estero, parliamo in media di quattro anni. Dobbiamo fare una distinzione per la nazionale: non si tratta di domande delle famiglie, ma di dichiarazioni di “disponibilità ad adottare” che vengono presentate ai tribunali per i minorenni. Conseguentemente, si apre un’istruttoria di conoscenza e di valutazione dell’idoneità della coppia. Dopodiché le coppie restano sospese in una specie di limbo per un periodo che varia da tribunale a tribunale; poche vengono chiamate per un abbinamento con un concreto bambino, la maggior parte aspetta finché la pratica viene d’ufficio archiviata, in tempi variabili da un tribunale all’altro. Noi vorremmo che le famiglie venissero informate in tempi ragionevolmente brevi e in modi meno penalizzanti: ci piacerebbe che venissero aiutate a maturare all’interno di questo cammino e che non fossero trattate solo come “strumenti” da usare, all’occorrenza e in base al bisogno del momento.

Diceva che i bambini adottabili sono in numero molto inferiore rispetto alle coppie richiedenti. C’è una spiegazione a questo?

La questione va considerata sotto due punti di vista. L’aspetto positivo implica che la realtà sociale è evoluta, i servizi sono più presenti e aiutano maggiormente le famiglie e perciò le situazioni di totale abbandono sono inferiori. D’altro canto, questo è correlato ad un aumento degli aborti: una volta, una donna che non aveva intenzione di diventare madre, portava a termine la gravidanza e poi dava in adozione il piccolo appena nato. Oggi, se lo desidera, può fermare la gravidanza molto prima.

Quali tipi di famiglie fanno maggior ricorso alle adozioni?

Sicuramente, la quasi totalità è rappresentata dalle coppie sterili perché il percorso è diventato così lungo e difficile e finisce per scoraggiare i coniugi che hanno già altri figli. Questo implica che le coppie infeconde devono compiere un percorso di maturazione perché il desiderio di avere un figlio, da solo, non è sufficiente per far maturare nelle persone la disponibilità affettiva ed emotiva di diventare genitore di un bimbo che non ha generato: tutto ciò non è automatico, specialmente tenendo conto della frequente problematicità di questi bambini che spesso hanno alle spalle storie personali e familiari dolorose e traumatiche.

Quali sono state le vostre richieste alla Commissione?

 

 

Conferire maggior riconoscimento al ruolo delle associazioni familiari sia nell’affido che nell’adozione. Vivere da soli queste esperienze è rischioso e abbiamo constatato che le coppie affrontano e reggono le situazioni anche difficili in modo più sereno se entrano in questa rete di rapporti. Vorremmo anche che si riducesse la disomogeneità della prassi organizzative ed operative sul territorio nazionale. Abbiamo poi espresso la nostra opinione sull’acceso dibattito  in corso a riguardo del passaggio dall’affido all’adozione. Che un affido sfoci nella dichiarazione di adottabilità del minore affidato è un caso eccezionale, ed eccezionale deve rimanere; ci si chiede, in tali situazioni estreme, se sia giusto che rimanga nella famiglia affidataria ovvero se non vada inserito in una nuova famiglia adottiva. Noi abbiamo chiesto che, nel pieno rispetto della normativa relativa all’adozione e quindi con rispetto di tutti i requisiti richiesti, si tenga conto  dei legami affettivi instaurati dal minore e non lo si sottoponga a un non necessario e traumatico distacco.