L’aspetto più inquietante sul quale nessuno si è soffermato è che Nicola Mancino aveva paura. E’ la tesi riportata da Ernesto Galli della Loggia dalle pagine del Il Corriere delle Sera del 3 luglio. L’editorialista si riferisce alla intercettazioni delle telefonate tra l’ex vicepresidente del Csm (ministro dell’Interno all’epoca della presunta Trattativa Stato-mafia) e il consigliere giuridico del Quirinale, Loris D’Ambrosio. Nel dialogo tra i due, Mancino si mostra decisamente preoccupato. Non è ancora indagato. Lo sarà, in seguito, per falsa testimonianza nell’ambito dell’inchiesta sulla trattativa. Eppure, parla di un «abuso grande come una montagna» e si domanda dove «vogliano arrivare questi». Per Galli Della Loggia, si tratta di passaggi fondamentali. Mancino, un uomo che in virtù dei ruoli che ha ricoperto all’interno delle istituzioni, conosce bene la giustizia italiana. E teme di «essere incastrato». Non dai giudici. Ma dai Pm. E’ perfettamente a conoscenza, infatti, di «come troppo spesso funzionano i meccanismi dell’Accusa, del modo d’essere dei suoi rappresentanti, delle loro motivazioni inconfessate e inconfessabili». Abbiamo chiesto a Carlo Federico Grosso, avvocato penalista, professore ordinario di Diritto penale presso l’Università di Torino, già vicepresidente del Csm, come interpretare le parole di Galli della Loggia.



Crede, anzitutto, che l’inchiesta sulla trattativa Stato-mafia possa essere inficiata dalla volontà di dimostrare un teorema a tutti i costi?

Lo escluderei. La magistratura fa indagini e se accerta fatti penalmente rilevanti non può fare altro che perseguirli. Detto questo, per il momento, non si può certo affermare con certezza se tale trattativa ci sia stata o meno.



E’ possibile che, sulla vicenda, si stiano scontrando due posizioni opposte? Ovvero, quella di chi pensa che vada fatta chiarezza a tutti i costi e le persone formalmente responsabili debbano essere punite; e quella di chi è convinto che la trattativa abbia evitato ulteriori vittime e che i responsabili del patto, di conseguenza, non vadano perseguiti

Effettivamente, queste due concezioni, coesistono. Difficile dire se riguardino strettamente la giustizia o se non siano, piuttosto, politiche. In ogni caso, il problema esiste, ed è drammatico. Pensi al caso Moro. Dal punto di vista del rigore morale, si poteva affermare che mai e poi mai si sarebbe dovuto trattare con i terroristi. D’altro canto, sussisteva l’aspetto umanitario, e il cosiddetto stato di necessità. Che precede la ragion di Stato. In questi casi, non è possibile assumere posizioni manichee.



In ogni caso, le sembra corretto il modo in cui sta procedendo la magistratura inquirente che si sta occupando del caso?

Personalmente, ho fiducia nella magistratura italiana. Di certo, ci sono state deviazioni e sono sempre stato disposto ad ammetterle. In questo caso, tuttavia, non abbiamo elementi per supporre che non stia agendo in conformità con quanto prevede la legge.

Secondo Galli Della Loggia, Mancino teme non tanto la giustizia, quanto il modo di agire di buona parte della magistratura inquirente

Anch’io, come Mancino, sono stato vicepresidente del Csm, e conosco perfettamente i meccanismi interni dell’ordinamento giudiziario. Sono quasi 40 anni, inoltre, che svolgo la professione dell’avvocato penalista e ho avuto decine di scontri con le Procure. Certo, qualche volta sono rimasto sorpreso da certe iniziative. Tuttavia, non è possibile generalizzare. Dobbiamo tener presente, inoltre, che i pm, oltre a rappresentare un organo di giustizia dello Stato, nell’espletare le loro funzioni, fanno gli indagatori e gli accusatori. E’ chiaro che l’indagato si senta molto più sotto pressione da loro che dai giudici che, invece, sono imparziali e non sono parte del processo.

Secondo molti, le Procure possono agire nell’assoluta discrezionalità e impunità

Che abbiano ampia discrezionalità è vero. Si tratta, pur sempre, di margini stabiliti entro i paletti della legge. E’ capitato e può capitare che tali paletti vengano superati. E’ funzione delle difesa opporsi quando tali limiti sono oltrepassati. Detto questo, per 4 anni, sono stato componente della sezione del Csm e mi è capitato di concorrere alla condanna di qualche procuratore che aveva violato il principio secondo cui il pm, laddove acquisisse alcuni elementi a favore dell’imputato, dovrebbe in ogni caso depositarlo.