Sono numerosi i santi e i beati che la Chiesa Cattolica celebra il 7 luglio. Tra loro c’è anche San Giuseppe Maria Gambaro, sacerdote canonizzato recentemente da Papa Giovanni Paolo II, il primo ottobre 2000, insieme ad altri 200 martiri che trovarono la morte in Cina durante l’ultimo secolo in seguito alle persecuzioni contro la cristianità. Giuseppe venne ucciso all’inizio del 1900 durante il periodo della rivolta dei Boxers, ma prima di parlare del suo martirio è necessario conoscere meglio la figura del Santo, partito dall’Italia per andare a portare la parola del Signore fin nella lontana Cina. Giuseppe Maria Gambaro, il cui vero nome anagrafico era Bernardo, nacque a Galliate, un comune nei pressi di Novara, nel 1869 in una famiglia molto religiosa e, evento rarissimo per quei tempi, ricevette la sua prima Comunione a soli 8 anni, a testimonianza che già da bambino egli mostrava un grande interesse per la fede e la spiritualità. A 13 anni Bernardo maturò l’idea di dedicarsi alla religione e, finalmente raggiunti i 17 anni, poté intraprendere gli studi teologici e filosofici con l’ammissione al noviziato in un collegio sul lago d’Orta. Qui cambiò il suo nome in Giuseppe Maria e venne poi ordinato sacerdote nel 1892. Fu destinato al collegio di Ornavasso, nell’alta provincia di Novara, ma il suo desiderio di farsi missionario era sempre più impellente e nel 1895 ottenne il permesso di sottoporsi a un esame per verificare se fosse adatto a recarsi in Cina. Superato il test poté finalmente imbarcarsi a Napoli e da lì raggiunse la sua meta dopo un lunghissimo viaggio. Sbarcato a Han-kow, come tutti gli altri confratelli dovette rasarsi il capo e togliere il saio per indossare i tipici abiti cinesi. Quindi fu inviato a Heng-tciau-fu, a mille chilometri di distanza, dove si dedicò all’apostolato tra i contadini e i giovani chierici. Vista la sua grande preparazione filosofica e teologica, monsignor Fantosati gli assegnò il compito di prendersi cura del seminario della zona. Dopo i tre anni di insegnamento venne destinato a una comunità cristiana, quella di Yen-tcion, dove era amato e rispettato sia da pagani che cristiani, ma monsignor Fantosati, consapevole delle grandi virtù del suo religioso, lo volle accanto a sé per cresimare i catecumeni nelle varie città che toccava.
I due si recarono così a Lei-yang e poi a San-mu-tciao, dove si dedicarono alla ricostruzione di una cappella distrutta l’anno precedente dai pagani. Qui li raggiunse però la notizia che la dimora del vescovo, monsignor Fantosati, a Hoang-scia-wan era appena stata distrutta dal popolo aizzato dai Boxers e decisero di tornare. La comunità cristiana li pregò di rimanere ma entrambi, seppur consapevoli del pericolo che correvano, furono fermi nel loro proposito e, accompagnati da quattro cristiani, si imbarcarono per raggiungere la città per via fluviale. Non fecero neppure in tempo a sbarcare che vennero subito riconosciuti e accolti dalle grida “Morte agli europei”, trascinati a riva dal popolo urlante e percossi con sassi e bastoni fino a morire. Era il 7 luglio 1900.