Carissimi amici del Sussidiario,

Sul dramma di Alex Schwazer l’opinione pubblica e a suo seguito il pensiero comune si stanno dividendo su due posizioni: da una parte chi si straccia le vesti per quello che ha fatto l’atleta italiano e lo condanna senza attenuanti, dall’altra parte chi si vuol mettere dalle parti del maratoneta e trova altre responsabilità come la pressione dell’ambiente. Colpevolisti e innocentisti, con ragioni accettabili nell’una e nell’altra direzione, ma entrambi carenti come giudizio, incapaci di comprendere la vera posta in gioco che il caso Schwazer propone.



La domanda non è se l’atleta italiano sia colpevole o innocente, o in parte assolvibile. Non sta qui la questione seria che Schwazer ci lascia in eredità. Il problema vero che la questione Schwazer pone è l’educazione. Ed è preoccupante che nessuno ne parli! Che cosa significa che il caso di Alex Schwazer pone la questione educativa? Che pone la domanda sul valore che ha per un giovane la riuscita. Questo è il problema che si pone di fronte al dramma cui tutti abbiamo assistito e che pur in toni diversi si ripropone non solo nel mondo dello sport ma in tutti i settori della vita.



Chi si allena per andare alle Olimpiadi lo fa per avere un successo e non solo per partecipare, chi ha le doti per vincere va alle olimpiadi per arrivare primo! Ed è giusto che sia così. La domanda è che porti un atleta a ricorrere all’Epo. Una sua debolezza? La pressione dell’ambiente? L’incapacità a stare ai propri limiti? Tutto questo, ma qualcosa di più, è l’aver fatto propria una idea, quella che il valore del proprio io stia nella riuscita. Questo è accaduto per mancanza di educazione. E non nel senso che si doveva educare Schwazer al rispetto delle regole o non si doveva far pressione su di lui, ma in un senso più vero, nel senso di proporgli un lavoro che gli faccia riconoscere il suo umano. Se è la riuscita lo scopo per cui uno fa sport, allora ha fatto bene Schwazer, doveva solo essere più intelligente!



Il problema è tutto qui, se l’uomo si realizzi nella riuscita o se a compiere l’umano, a dargli consistenza sia qualcosa di più della riuscita, qualcosa o qualcuno che dia senso alla vita. Per questo è un problema di educazione, Schwazer si è trovato e ora più decisamente si trova di fronte alla domanda “che cosa da’ valore alla mia vita?”. Qui inizia l’educazione, nella pretesa di proporre una ipotesi di risposta a questa domanda più grande della riuscita e che rende capaci di giocare tutte le proprie potenzialità come di accettare i propri limiti. Oggi si vuole evitare la domanda educativa che invece il caso Schwazer pone con grande forza.

E’ invece tempo che dentro lo sport e dentro la scuola come dentro le diverse attività del tempo libero abbiamo il coraggio e la lealtà di chiederci se dobbiamo continuare ad educare alla riuscita o se il valore dell’uomo stia in uno sguardo che ha simpatia per lui come è. Tutti noi che in qualche modo abbiamo a che fare con i giovani, genitori, insegnanti, allenatori sportivi dobbiamo decidere se sia la riuscita ciò che proponiamo o se la vita abbia un senso più grande della riuscita!

Gianni Mereghetti

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