«Per capire il caso Ilva bisogna fare qualche passo indietro nella storia di Taranto». L’avvocato penalista Antonio Raffo inizia così il suo racconto sulla spinosa vicenda che sta infiammando l’estate politica italiana. «Lo stabilimento Italsider, i cui lavori erano iniziati nel 1961, venne realizzato nel 1965 – spiega Raffo a IlSussidiario.net –. Quello che poi diventerà l’enorme motore della siderurgia italiana viene quindi inserito all’interno di un territorio che da parecchi decenni era già interessato dalle attività dell’arsenale militare e dai cantieri navali e che, ovviamente, ne soffriva in termini di inquinamento. Parecchi anni dopo, nel 1995, lo stabilimento viene acquisito dal gruppo della famiglia Riva e da pubblico diventa perciò privato».
Con quali conseguenze? «Al Gruppo bisogna dare atto di aver fatto numerosi interventi per migliorare l’ambiente, ma non poteva bastare. Si è fatto meno del dovuto, anche, e forse soprattutto, quando l’impianto siderurgico era in mano pubblica. Una distrazione di cui lo Stato non può non prendersi la responsabilità. I danni si registrano da decenni sulla popolazione, a cominciare da quelli causati dall’amianto, un nemico silenzioso dell’essere umano, scoperto troppo tardi…».
Oggi, e siamo nel 2012, un’inchiesta giudiziaria ordina lo spegnimento dell’altoforno e revoca Bruno Ferrante dal ruolo di presidente. “Sentenze sproporzionate” secondo il governo dei tecnici. «A me sembra, invece, che ci si trovi davanti a giudici coraggiosi, sollecitati da numerose denunce, che hanno posto in essere un’attività di indagine. La perizia degli esperti ha ravvisato danni ambientali e alla salute nello svolgimento delle attività siderurgiche sia dello Stato, sia in riferimento all’attività della siderurgia privata. In questo modo sulla vicenda è stato acceso un enorme faro».
E a cosa servirà secondo lei? «Se si considera il grado di attenzione con cui il tema è stato trattato nei decenni è già un successo. Che i ministri del governo siano costretti a venire a Taranto il 17 agosto non mi sembra cosa da poco. Ovviamente non è lo scontro il traguardo verso il quale tendere.
L’obiettivo deve essere il riequilibrio di una bilancia che oggi pende da un lato e sale dall’altro. Questo si può fare iniziando a bonificare utilizzando quella goccia nel mare che sono i 330 milioni di euro stanziati dallo Stato (a Marghera arrivarono 5 miliardi). Bisogna evitare che le polveri avvelenino la città e i suoi abitanti, anche prendendo in considerazione la riduzione della produzione. Ognuno dovrà fare la sua parte, dalla proprietà, ai politici nazionali. Una cosa è certa, i politici locali hanno fallito».