«Quasi una firma impressa col fuoco nella sua anima e nella sua carne dal Creatore stesso». Comincia oggi il XXXIII Meeting di Rimini, all’insegna di quel desiderio di infinito che, dice il titolo del Meeting, palpita nel cuore dell’uomo. Ma attenzione, sembra dire Benedetto XVI all’uomo contemporaneo, lo stesso uomo credente o disorientato, pieno di speranza e insieme di smarrimento, che sta dentro e fuori dei padiglioni della Fiera di Rimini. Perché «parlare dell’uomo e del suo anelito all’infinito significa innanzitutto riconoscere il suo rapporto costitutivo con il Creatore», dice il Pontefice nel suo messaggio di saluto fatto pervenire ieri al vescovo di Rimini mons. Lambiasi. Da laico, Stefano Zecchi riconosce la verità di quello che dice il Papa, anche se, di fronte all’Incarnazione, rispettosamente preferisce fermarsi sulla soglia.



Professore, come reagisce al messaggio di Benedetto XVI?

Mi hanno colpito i due temi centrali: il concetto di creatura e il suo nesso con l’infinito. Questi aspetti teologici il Pontefice li tratta da par suo. Mi ha ugulamente colpito il suo monito a stare attenti ai falsi infiniti, ed è su questo che vorrei fermarmi. Il Papa li indica tutti, in modo esemplare, comprese le «tecnologie totalizzanti». C’è però un vero infinito che mi permetto di richiamare.



Quale?

Quell’infinito incarnato nel finito che è il mondo dell’arte. Essa ha sempre cercato, attraverso la finitezza della sua espressione, il trascendimento della realtà. In fondo l’arte ha sempre avuto questo significato di costruzione di un senso, di oltrepassamento del niente caduco delle cose presenti. Tranne che nella nostra contemporaneità: da cui la «cattiva» infinitezza di molta arte dei nostri giorni. Ma in quanto è trascendimento e ricerca di una espressione di bellezza che testimonia il significato dell’esistenza, è la più potente espressione antinichilista creata dall’uomo.



«Parlare dell’uomo e del suo anelito all’infinito significa innanzitutto riconoscere il suo rapporto costitutivo con il Creatore». Il papa parla solo ai credenti oppure a tutti gli uomini?

Quello che dice Benedetto XVI ha una pretesa universale nel momento in cui il legame con l’infinito è desiderio di costruzione di un senso. Se lo dimentico, mi perdo. La vera malattia spirituale del nostro tempo è il nichilismo, la tesi che il tutto e il niente coincidono. Allora, diviene importante capire quali sono le opere dell’uomo che possono avvicinarsi all’infinito. Non è casuale che proprio attraverso la cultura cristiana si definisca nel primo medioevo la nozione di opera. L’uomo fa belle le cose perché nel fare belle le proprie opere – nel farle con arte, appunto – si avvicina all’opera di Dio.

E oggi?

Oggi molto spesso l’agire umano è orfano dell’infinito. Pensiamo al mondo della finanza e di certa economia, che ha la sua finalità in se stesso. Non dice mai il significato di quella determinata operazione, si chiude nella sua autoreferenzialità.

Del rapporto che l’uomo intrattiene col Creatore, Benedetto XVI dice che è «una forma impressa col fuoco nell’anima». Lei come si sente personalmente interrogato da questa «ipotesi»?

La vera domanda esistenziale è quella che rimanda al senso dell’infinito. Io credo che qualunque persona che abbia una sensibilità che va al di là della pura e semplice materialità della sua esistenza, inevitabilmente percepisca il legame con l’infinito come costitutivo. Questa tensione all’infinito è primigenia, appartiene al bambino. Forse, anzi, la diseducazione dei bambini è all’origine di quella negazione che arriverà più tardi. 

Finito e infinito non sono rimasti estranei. «Il Dio eterno e infinito ha lasciato il suo Cielo ed è entrato nel tempo, si è immerso nella finitezza umana» scrive Benedetto XVI. 

Non mi sento di intervenire su questo. Posso dire, da laico, che il sentimento religioso è quello stato d’animo che porta sempre l’uomo a conoscere il limiti della sua finitezza. Quando non c’è sentimento religioso, allora prevale una propria, autoritaria, dimensione finita. È l’idea dell’autosufficienza dell’uomo, della sua pretesa e illusoria onnipotenza.

Lei prima ha citato la finanza. La politica oggi ha bisogno dell’infinito?

Avrebbe bisogno di comprendere che i problemi non possono essere considerati soltanto fine a se stessi, ma devono avere una proiezione, un progetto, indicare una vita possibile. Se questo manca, tutto quello che fa si chiude in se stesso. Ma questo avviene per tutte quelle che Benedetto Croce chiamava pseudoscienze. L’economia è una di queste. Prive di un’apertura che può derivar loro solamente dalla dimensione etica, diventano nulla.

E la tecnica?

Le biotecnologie sono oggi quel mondo di cui il Pontefice parla come di un falso infinito. Quando, ancora una volta, le tecnologie non sono al servizio dell’uomo, lo asserviscono, illudendolo di essere onnipotente. L’esito è quello che vediamo: l’uomo oggetto di manipolazione nel suo stesso essere.

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